Cosmos 12 di 12 – Marte, il pianeta rosso

Marte, il pianeta rosso

Un marziano. Perché si fanno tante ipotesi e ci si arrovvella la fantasia proprio su un marziano? Il fatto è che Marte, a prima vista, è molto simile alla Terra ed essendo il pianeta più vicino a noi possiamo vederne la superficie. Marte ha le calotte polari ghiacciate, nubi in movimento, mutamenti di stagione e perfino il giorno di 24 ore, è facile la tentazione di pensare che sia abitato.

Ma i nostri pensieri più illusori su Marte si sono dimostrati errati e così alcuni sono passati all’estremo opposto concludendo che Marte sia privo del tutto di interesse. Ma la realtà è che Marte è un pianeta stupefacente e le prospettive che ci fa intravedere sono più avvincenti dell’apprensione che ha provocato in noi nel passato.

La visione più impressionante di Marte l’ha data H.G. Wells nel 1897 nel suo libro “La guerra dei mondi”. 
Descrisse:
“Nessuno, alla fine del XIX secolo, avrebbe creduto che il nostro mondo fosse osservato con attenzione e da vicino da intelligenze superiore a quella dell’uomo e, tuttavia, altrettanto mortali. Mentre l’umanità era impegnata nelle sue svariate occupazioni, c’era chi la osservava e la studiava con la stessa attenzione con cui un nostro scienziato al microscopio studia le creature che brulicano e si moltiplicano in una goccia d’acqua. Con fede e compiacimento gli uomini andavano e venivano per tutto il globo immersi nei loro piccoli problemi e veramente certi del loro dominio sulla materia. Nessuno pensava agli altri mondi nello spazio, più antichi del nostro, come fonte di pericolo per l’umanità, alcuni prendevano in considerazione solo per rifiutare l’idea che la vita su di essi fosse impossibile o improbabile.”

È curioso ripensare a certi modi di pensare di quei tempi ormai finiti, al massimo i terrestri vi riuscivano a immaginare che su Marte ci fossero altri uomini non inferiori a loro e pronti a dare il benvenuto a qualunque spedizione arrivata lì.

Il romanzo di Wells fece presa con la fantasia popolare, in quella tarda epoca vittoriana. Era il tempo in cui l’automobile era una novità e il ritmo della vita veniva stabilito, in larga parte, dalla velocità del cavallo. E Wells diede sfogo alla sua fantasia interplanetaria con navi spaziali, pistole a raggi mortali, ecc. Era una visione originale e certamente inquietante. I marziani di Wells non erano solo variazioni in tono minore del tema umano, ma piuttosto il prodotto evolutivo di un ambiente completamente estraneo al nostro.

Quarant’anni dopo questo racconto fantastico riuscì ancora a terrorizzare milioni di persone in un’America che temeva l’imminente seconda guerra mondiale, quando fu trasmesso in una edizione radiofonica da Orson Wells.


Qualche anno prima della pubblicazione della “Guerra dei Mondi” un ricco signore di Boston di nome Percival Lowell aveva costruito una visione totalmente diversa dei marziani. I marziani di Wells erano stati, per l’autore, un mezzo per analizzare la società a lui contemporanea attraverso occhi extraterrestri. Ma i marziani di Percival Lowell erano, secondo lui, assolutamente realistici.

Lowell si era occupato di astronomia quando era giovane, poi frequentò l’Università di Harvard, ebbe un incarico semiufficiale di carattere diplomatico in Corea e, per il resto, si impegnò nei soliti compiti comuni ai benestanti del suo tempo. Ma la grande passione della sua vita era il pianeta Marte. Lowell fu letteralmente entusiasmato dall’annuncio dato nel 1877 dall’astronomo italiano Giovanni Schiapparelli sull’esistenza di canali sulla superficie di Marte.

Durante un passaggio ravvicinato di Marte alla Terra, Schiapparelli aveva osservato una rete assai intricata di linee singole e doppie che si intrecciavano sulle zone brillanti del pianeta. Ora, i canali possono essere sia artificiali (canal) che naturali (channel), ma poichè questa parola fu tradotta in inglese con il termine “canal”, diede alla parola stessa un significato diverso, implicante l’intervento di un’intelligenza. Nel 1892, poiché la vista gli andava calando, Schiapparelli annotò che doveva abbandonare le osservazioni di Marte.

Allora Lowell decise di continuare lui il lavoro. Cercò un punto di osservazione ottimale, non disturbato dalle nuvole o dalle luci di una città e caratterizzato da un buon seeing. “Seeing” è il termine che usano gli astronomi per indicare un’atmosfera stabile, attraverso la quale il tremolio di un’immagine vista al telescopio è ridotta a poco. Lowell costruì il suo Osservatorio molto lontano da casa sua, sulla Mars Hill, Collina di Marte, a Flagstaff, nell’Arizona. Lowell disegnò alcuni schizzi dei tratti superficiali di Marte e, in particolare, dei canali che lo appassionavano moltissimo. Le osservazioni di questo genere non sono facili, comportano lunghe ore al telescopio nel freddo pungente del primo mattino. Il più delle volte il seeing è pessimo e quando è così, l’immagine di Marte appare confusa, distorta. Ma ogni tanto l’immagine è netta, è allora che bisogna guardare con attenzione e schizzare sulla carta.

Lowell era convinto che quella che vedeva era un enorme rete a forma di globo formata da grandi canali di irrigazione che portavano le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari agli assetati abitanti delle città equatoriali. Quindi pensava che il pianeta fosse abitato da una razza più antica e più saggia della nostra e, forse, anche molto diversa. Era convinto che il mutare delle stagioni nelle zone scure fosse dovuto alla crescita e all’appassire della vegetazione; insomma, era convinto che Marte fosse uguale alla Terra.

I marziani di Lowell erano una razza in estinzione, le loro città, un tempo grandiose, erano ridotte a rovine. Lowell pensava che il clima di Marte stesse cambiando e la sua acqua, così preziosa, si stesse dispargendo nello spazio e il pianeta si stesse trasformando in un deserto. Egli quindi pensò che i canali erano l’ultimo disperato espediente per conservare le poche acque rimaste. Ma le loro tecniche, anche se molto più avanzate delle nostre, erano inadeguate ad arrestare la catastrofe planetaria.

La più seria confutazione contemporanea alle teorie di Lowell giunse da una fonte inaspettata, il biologo Alfred Russell Wallace, scopritore insieme a Darwin dell’evoluzione per selezione naturale. Wallace invocò con ragione che su Marte l’aria era troppo fredda e rarefatta per consentire la presenza di acqua. 
Scrisse: “E solo una razza di esseri folli avrebbe costruito dei canali in condizioni simili.”

I marziani di Lowell erano benevoli ed ottimisti, molto diversi da quelli malvagi e minacciosi descritti da H.G.Wells e da Orson Wells nella “Guerra dei Mondi”. Se su Marte esistesse veramente una rete di canali indicata da Lowell, la conclusione che su quel pianeta c’è vita intelligente potrebbe diventare inconfutabile. Ma su Marte non esiste una rete di canali, le nostre sonde spaziali automatiche hanno studiato Marte in modo mille volte più dettagliato delle osservazioni fatte da Lowell col suo telescopio. La domanda non era se i canali di Marte fossero il prodotto di una intelligenza. 
L’unica domanda era: da quale parte del telescopio si trovasse l’intelligenza. 
Di fronte a delle forti emozioni, siamo inclini a ingannare noi stessi.


Eppure, anche senza i canali, l’esplorazione di Marte evoca in noi un grande interesse. Si vedono sulla sua superficie molti crateri, provocati da collisioni, valli, vari strati geologici, complessi di nubi, ma niente canali. Molti ipotizzano la presenza di acqua, valli percorse anticamente da fiumi si aprono la strada fra i crateri. C’è una valle lunga mille chilometri e un’età di un miliardo di anni. C’è da chiedersi se la vita sia mai potuta nascere nelle acque di questi grandi fiumi. Su Marte ci deve essere stata un’epoca in cui la vita sia esistita. Altrettanto antica è la Valle del Mariner, se si trovasse sulla Terra andrebbe da New York a Los Angeles. Frane e smottamenti cadono nel fondo valle, qui i venti sollevano le particelle creando immense nubi di sabbia, ovunque su Marte ci sono forti venti. Spesso i crateri presentano lunghe strisce di materiale chiaro o scuro create dai venti. I venti devono essere molto forti, rasentano talvolta la metà della velocità del suono. Altre figure curiose sono le piramidi, forse si tratta solo di montagne create dalla forza dei venti, ma potrebbe anche trattarsi di qualcos’altro. Il vulcano più grande, finora conosciuto, del Sistema Solare è il monte Olimpo. La superficie di Marte ha la stessa grandezza di tutta la terraferma del nostro pianeta, quindi l’esplorazione di questo pianeta richiederà molto tempo.

L’unico canale di Lowell che ha in qualche modo riscontro reale è la Valle del Mariner, è lunga 5.000 chilometri. Comunque, abbiamo inviato sul pianeta delle nostre sonde automatiche, Viking I e Viking II. Il problema era dove farle scendere. Sapevamo che i vulcani della regione di Tarsis erano troppo alti e che l’atmosfera troppo rarefatta avrebbe reso inutile l’azione dei paracadute. La grande Valle del Mariner era troppo accidentata, le calotte polari erano troppo fredde perché l’impianto a energia nucleare si mantenesse abbastanza caldo.

Insomma, i posti più indicati erano o troppo alti o troppo morbidi o troppo accidentati. La nostra preoccupazione era la sicurezza del luogo di atterraggio. Alla fine furono scelti due posti, uno chiamato Utopia per il Viking II, e l’altro, distante dal primo 8.000 chilometri non lontano dalla confluenza di quattro grandi canali per il Viking I, chiamato Crise. Così, il 20 giugno 1976, Viking I si posò nella pianura di Crise. Dopo un letargo di un anno, il tempo del suo viaggio interplanetario, il Viking I si posò su un altro mondo, Marte. La prima cosa che fece chiamò casa per avvertire che era arrivato bene. Poi cominciò a darsi da fare. Sondò i venti di Marte, l’aria, il terreno e, infine, diede un’occhiata all’ambiente nuovo e sconosciuto.

Il primo compito fotografico di Viking I era di riprendere il proprio piede, nel caso che fosse stato investito dalle sabbie mobili volevamo delle informazioni. Il Viking inviò la sua fotografia in una successione di linee verticali. Il paesaggio ripreso dalle telecamere presenti sul Viking rivelavano un paesaggio non estraneo desolato di pietre, cose familiari anche qui sulla Terra. Scoprimmo che su Marte l’aria ha una densità inferiore all’uno per cento rispetto alla nostra ed è composta, prevalentemente, di anidride carbonica. Ci sono anche piccole quantità di azoto, argon, acqua e ossigeno, inoltre l’ozono è quasi assente cosicchè la superficie non è protetta dai raggi ultravioletti del Sole, come sulla Terra. Di notte, la temperatura arriva ai 100 gradi sotto lo zero, nell’inverno la superficie è ricoperta da un sottile strato di ghiaccio.

Le scoperte del Viking hanno rivoluzionato le nostre nozioni su questo mondo. Studiavamo con attenzione ogni fotografia che la sonda ci inviava, ma non c’era nessuna traccia dei canali e nessuna forma di vita. Per la maggior parte della sua storia, la nostra Terra è stata popolata da microbi e non da esseri abbastanza grandi da essere visti. È probabile che per Marte accada la stessa cosa.

Le sonde Viking sono delle macchine progettate e attrezzate in modo superbo. In tutti e due i punti di atterraggio delle sonde, Crise e Utopia, abbiamo cominciato a scavare le sabbie di Marte. Il braccio automatico delle sonde preleva del terreno e lo setaccia depositandolo in vari recipienti. Poi, i campioni vengono sottoposti a cinque analisi, due sulla composizione chimica del terreno e tre per la ricerca di forme di vita.

Gli esperimenti biologici dei Viking rappresentano il primo tentativo pionieristico alla ricerca della vita su un altro pianeta. I risultati sono allettanti, inquietanti, provocatori, stimolanti. Due dei tre esperimenti di microbiologia dei Viking sembrano avere approdato a risultati positivi. Nel primo accade che mischiando campioni del terreno di Marte con un miscuglio di rancio terrestre, qualcosa che è nel terreno scompone le sostanze del miscuglio, come se nel terreno di Marte ci fossero piccoli microbi, i quali metabolizzano il miscuglio terrestre. Nel secondo quando alcuni gas terrestri vengono mescolati con il terreno di Marte, sembra che intervenga un qualcosa che combina chimicamente il gas con il terreno, come se esistessero dei microbi marziani capaci di sintetizzare la terra organica dai gas dell’atmosfera. Ma la situazione è complessa, Marte non è la Terra. Come l’esperienza di Percival Lowell ci ha insegnato, siamo soggetti a commettere errori. Può essere che i raggi ultravioletti del Sole colpiscano la superficie di Marte e provochino una reazione chimica che dissipa i cibi. Può essere che nel suolo marziano esista qualche catalizzatore che riesce a combinare i gas atmosferici col suolo stesso trasformandoli in molecole organiche. Le sabbie rosse di Marte sono state prelevate sette volte nei due punti di atterraggio, distanti tra di loro come Boston e Baghdad. Questo faceva pensare che le analisi potevano essere valide per tutto il pianeta. Ma si tratta di vita o solo di processo chimico del suolo?

Studi recenti hanno fatto pensare che una specie di creta presente su Marte funzioni da catalizzatore per accelerare, in assenza di vita, delle reazioni chimiche che sovvengono tra le manifestazioni della vita. Può darsi che nella storia primordiale della Terra, prima della vita, ci fossero dei piccoli cicli chimici, che avvengono nel suolo. Qualcosa come la fotosintesi e la respirazione che si sarebbero poi incorporate nella biologia una volta comparsa la vita.

Su tutta la Terra, la vita è fatta della stessa mescolanza di atomi, in qualche altro pianeta può darsi che eventuali esseri viventi siano molto diversi da noi. Ma io penso che le eventuali forme di vita siano costituite per lo più dagli stessi atomi preponderanti qui da noi e, forse, dalle stesse grandi molecole.

Talvolta si sente parlare di possibili forme di vita nelle quali il silicio sostituisce il carbonio o l’ammoniaca liquida sostituisce l’acqua. Ma con la temperatura che c’è su Marte non appare possibile l’esistenza di molecole a base di silicio, capaci di portare il codice genetico. Inoltre l’ammoniaca è allo stato liquido solo sotto forti pressioni e a basse temperature.

Ma c’è un altro modo per ricercare la vita su Marte. Una delle cose che il Viking non può fare è quella di muoversi. Quello che ci servirebbe è un veicolo di tipo fuoristrada attrezzato per esperimenti di biologia e di chimica organica, capace di scegliere un posto sicuro, ma insignificante e poi raggiungere posti interessanti. Questo veicolo fuoristrada è stato progettato dall’Istituto Politecnico Lessinger ed ha una lunga lista di cose stupide che non deve fare. Il fuoristrada marziano non ha il tempo di chiedere se può affrontare una scarpata troppo ripida, le onde radio viaggiano alla velocità della luce e impiegano circa 20 minuti per raggiungere la Terra e tornare, in attesa della risposta il veicolo avrebbe avuto il tempo di cadere in fondo a un burrone. Insomma, deve essere un fuoristrada intelligente e attrezzatissimo, che potrebbe fornirci tante scoperte nuove.

Solo 80 anni fa tutto quello che riuscivamo a fare era di vedere la piccola immagine tremolante di Marte brillare attraverso un telescopio in Arizona. Ora i nostri strumenti si sono realmente posati sul pianeta. I Viking sono eredità di H. Durrell, Percival Lowell, Robert Goddard. La scienza è un’attività basata sulla collaborazione e abbraccia tutte le generazioni. Quando essa ci consente di intravedere il lontano confine di qualche nuovo orizzonte, ci ricordiamo di quelli che hanno aperto la strada e lavoriamo anche in loro nome. Su ogni Viking c’è un puntino microscopico sul quale sono scritti i nomi di quelle persone, uomini e donne, alle quali va il merito degli splendidi successi delle sonde.

Uno di questi nomi appartiene ad un amico, un microbiologo che si chiama Walter Fischner, che è stato il primo ad ideare uno strumento per l’osservazione dei microbi in un altro mondo. I suoi amici l’hanno chiamata la “trappola di Walter”, conteneva un liquido nutritivo che andava poi mescolato con un po’ del terreno di Marte, così se i microbi avessero gradito il miscuglio si sarebbero sviluppati in quel liquido intorbidendolo. La trappola di Walter fu scelta per andare su Marte coi Viking, ma la NASA, a causa di tagli al bilancio, fu costretta a rinunciare allo strumento per motivi di economicità. Per Fischner fu un colpo terribile, perché aveva lavorato su quel progetto per 12 anni, altri si sarebbero dimessi dal progetto, ma Fischner amava il suo lavoro. Decise così, di studiare varie zone della Terra che hanno caratteristiche più simili a Marte, le aride valli dell’Antartide, per lungo tempo ritenute prive di forme di vita. Fischner era convinto che se fosse riuscito a scoprire la presenza di microbi in queste aride distese polari, l’ipotesi della vita su Marte si sarebbe rafforzata.

Alla fine del novembre del 1973, Fischner andò in una valle remota tra i monti Artat, nell’Antartico. Preparò una serie di contenitori biologici nella versione semplificata degli esperimenti microbiologici effettuati dai Viking. Il due di dicembre partì dal campo base per andare a prendere alcuni contenitori e non fece più ritorno. Si era inoltrato in una certa zona, probabilmente scivolò sul ghiaccio precipitando per più di cento metri. Forse, qualcosa aveva attirato la sua attenzione. L’ultima annotazione del suo quaderno è stata: “Ritirata la stazione n.2.0.2, ore 22.30; temperatura al suolo -10 gradi; temperatura dell’aria -16 gradi.”

In seguito alcuni di quei campioni furono recuperati e due colleghi di Fischner scoprirono che in quella valle dell’Antartico la vita effettivamente esiste, una vita molto più tenace di quanto potessimo immaginare. Questo fatto potrebbe rivelarsi molto importante per la futura esplorazione di Marte. Arriverà un giorno in cui Marte sarà esplorato completamente.

Se c’è effettivamente vita una cosa non dovremo fare di sicuro: disturbarla, perché in quel caso Marte apparterrebbe ai marziani anche se fossero solo microbi. Ma supponiamo invece che vita non ce ne sia. Saremmo in qualche modo capaci di viverci, di rendere Marte abitabile come la Terra?

Ma ci sono dei problemi non semplici da risolvere. C’è troppo poco ossigeno, manca del tutto l’acqua. Ma potremmo ovviare a questi inconvenienti se riuscissimo a produrre più aria. Con una maggiore pressione atmosferica si potrebbe avere dell’acqua, con più ossigeno renderemo l’atmosfera respirabile e si formerebbe dell’ozono che proteggerebbe la superficie dall’effetto dei raggi ultravioletti. Le prove di una passata presenza dell’acqua fa pensare che un tempo Marte avesse un’atmosfera più densa e questa non può essersi dispersa nello spazio, da qualche parte deve trovarsi. Sicuramente ce n’è sotto la superficie ghiacciata e in quantità maggiori nelle calotte polari. Per fare evaporare le calotte polari dovremmo riscaldarle, preferibilmente coprendole con qualcosa di scuro per assorbire più luce solare. Questo qualcosa dovrebbe costare anche poco e capace di riprodursi, ebbene questo qualcosa esiste e si chiama pianta. Dovremmo creare delle piante scure capaci di sopravvivere nell’ambiente di Marte. Queste piante potrebbero essere seminate nelle vastissime calotte polari di Marte e darebbero inizio al processo di trasformazione di Marte. Poi, potremmo decidere di trasportare l’acqua ottenuta dallo scioglimento delle calotte polari in regioni equatoriali più calde costruendo dei canali.

Gli uomini potranno rendere abitabile Marte: i marziani saremo noi.

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