Cosmos 6 di 12 – L’esplorazione spaziale

L’esplorazione spaziale

 

Immaginiamo di essere dei viaggiatori provenienti dalle stelle e diretti al Sole. Ci troveremmo circondati da quattro immensi mondi gassosi e nuvolosi: Nettuno, il pianeta blu con Tritone la sua luna di ghiaccio, Urano con i suoi anelli scuri, fatti di materia organica, Saturno, il gioiello del Sistema Solare, all’interno dei suoi anelli concentrici composti da un miliardo di piccole lune di ghiaccio e, infine, Giove, il pianeta più grande con le sue nubi multicolori. Oltre, ancora più vicino al Sole, non si trovano più pianeti giganti, ma corpi minori fatti di roccia e metalli e alcuni avvolti da un leggero strato d’aria. Uno di essi è la Terra.

I viaggi dell’uomo per l’esplorazione all’esterno del Sistema Solare si svolgono, almeno fino ad oggi, sotto il controllo di un solo centro in tutta la Terra, il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California. Fu qui che domenica 8 luglio 1979 iniziarono le operazioni per il passaggio ravvicinato della sonda Voyager II a Giove e alle sue lune. Il veicolo spaziale era stato istruito per l’esplorazione del sistema di Giove da una sequenza di istruzioni radiotrasmesse in precedenza ai suoi computer di bordo.

I veicoli spaziali moderni che partono verso i pianeti, non hanno uomini a bordo, sono dei robot semiintelligenti. Gli occhi del Voyager sono due telecamere progettate di riprendere decine di migliaia di immagini all’esterno del Sistema Solare. Sono sistemate assieme ad altri strumenti su una apposita piattaforma che si orienta sui pianeti al loro passaggio. Il cervello del Voyager è costituito da due computer integrati posti al centro della navicella. Comunica con la Terra mediante una grande antenna. Il Voyager porta con sè un messaggio diretto a tutte le civiltà extraterrestri che dovesse incontrare negli spazi interstellari. I Voyager, siccome viaggiano troppo lontani dal Sole, non possono basarsi sui suoi effetti, perciò sono forniti di un piccolo impianto nucleare ben isolato dal resto della navicella.

In queste missioni di tipo pionieristico molte cose possono andare storte, quindi nella sala di controllo della missione Voyager il personale era un poco nervoso. Giove è circondato da uno strato di particelle cariche di energia molto potente, pericolose. Se il Voyager si avvicinasse troppo, le sue apparecchiature elettroniche si brucerebbero oppure lo scontro con un masso, anche piccolo tra gli anelli del pianeta, farebbe perdere alla navicella il controllo del suo assetto e l’antenna non capterebbe più la Terra e i dati raccolti andrebbero perduti per sempre.

Il Voyager I e il Voyager II furono lanciati nella tarda estate del 1977 a distanza di un mese l’uno dall’altro. Dopo molti allarmi e incertezze essi arrivarono con successo a distanza di tempo al sistema di Giove, dove eseguirono un ottimo lavoro fornendo le prime immagini ravvicinate del grande pianeta e delle sue quattro lune: Io, la più interna, poi Europa, poi, allontanandosi da Giove, Ganimede e, infine, Callisto, la più grande e la più lontana. Quella missione è costata all’umanità pochi spiccioli a testa.

Il passaggio del Voyager nei pressi di Giove accelera il moto della navicella avvicinandola al pianeta Saturno e la gravità di Saturno la spingerà, a sua volta, verso Urano e oltrepasserà anche Nettuno, abbandonando il Sistema Solare diventando un veicolo spaziale interstellare destinato, in futuro, a vagare per sempre tra le stelle. E se in questo futuro prossimo o un lontano futuro, il Voyager dovesse incontrare degli esseri appartenenti a qualche altra civiltà spaziale ha con sè un messaggio, un disco in oro con le istruzioni per l’uso. Su questo disco c’è inciso un campionario di immagini, suoni, saluti della Terra. Il disco porta inciso in inglese un breve saluto che dice: “Ai creatori di musica di tutti i mondi e di tutti i tempi, questi viaggi di esplorazioni e di scoperte sono i più recenti di una lunga serie che ha caratterizzato e contraddistinto la specie umana”.


Nel XV e XVI secolo per andare dalla Spagna alle Azzorre si impiegavano più giorni, oggi con lo stesso tempo si attraversa quel piccolo canale che divide la Terra dalla Luna. Occorsero alcuni mesi per attraversare l’Oceano Atlantico per raggiungere quello che viene chiamato il Nuovo Mondo, le tre Americhe. Oggi con lo stesso tempo si attraversa il Sistema Solare interno e si raggiungono Marte e Venere. Nel XVII e XVIII secolo per andare dall’Olanda alla Cina, per esempio, ci volevano un anno o due, lo stesso tempo che oggi impiega la sonda Voyager per andare dalla Terra a Giove. In rapporto alle risorse di allora e di adesso, alla società costava più allora mandare una nave in Estremo Oriente che mandare oggi una nave spaziale sui pianeti.

La passione per l’esplorazione è alla radice dell’essere umano. Quest’impulso ad andare, scoprire, conoscere, ha trovato il modo di esprimersi in qualunque cultura. Nel VII secolo a.C. il continente africano fu circumnavigato dai Fenici su mandato del faraone d’Egitto. Le isole del Pacifico furono rese abitabili da esperti e coraggiosi navigatori provenienti dall’Indonesia; grandi flotte di navi salparono dai porti della Cina durante la dinastia Ming, dirette all’esplorazione dell’India e dell’Africa. Secoli più tardi tre caravelle al comando di un navigatore italiano (Cristoforo Colombo) partirono dalla Spagna verso la scoperta delle Americhe. Successivamente una spedizione portoghese conduceva al termine con successo il periplo completo del nostro globo. Questi viaggiatori provenienti da culture diverse furono i primi esploratori planetari, hanno fatto di questo pianeta un unico punto nelle nostre esplorazioni di altri mondi. Noi seguiamo le loro orme, i nostri attuali veicoli spaziali sono i precursori, l’avanguardia nelle future spedizioni umane sui pianeti. L’uomo ha viaggiato in tutta la sua storia, noi abbiamo ancora molto da imparare dallo studio di quei grandi esploratori dell’ultimo secolo.

Nel XVII secolo i cittadini della nuova Repubblica olandese intrapresero un’intensa attività di esplorazione. Il problema chiave della navigazione era quello di determinare la longitudine, la latitudine era facile da stabilire, perché più si andava a Sud più le costellazioni del Sud si riuscivano a vedere. Ma la longitudine richiede un calcolo del tempo molto preciso, a bordo un orologio molto esatto viene mantenuto sull’ora del luogo di partenza, mentre il sorgere e il tramontare delle stelle danno l’ora locale e la differenza tra i due tempi dice quanto segna a Est o a Ovest.

Il progresso tecnologico richiedeva il maggiore ampliamento possibile di cognizioni e così l’Olanda divenne la prima nazione europea in materia di pubblicazione e di vendita di libri, di traduzioni di opere straniere e di pubblicazioni di scritti che allora erano stati censurati. Le avventure in terre esotiche e l’incontro con nuove culture fecero vacillare alcune certezze, divennero una sfida ai regnanti dominanti, dimostrarono che concezioni accettate per migliaia di anni potevano essere totalmente errate. In quell’epoca la Repubblica olandese era governata dal suo stesso popolo. Gli olandesi apprezzavano un certo benessere materiale, ma negli interni delle loro case i ritratti di una generazione intera di pittori indicavano sobrietà e discrezione. I naviganti che facevano questi viaggi di esplorazione o di commercio, una volta tornati facevano conoscere a chi era restato le loro esperienze vissute. L’Olanda prosperava nella sua libertà di pensiero.

In Italia Galileo aveva annunciato l’esistenza di altri mondi e aveva avanzato l’ipotesi di vita intelligente al di fuori della Terra, ma fu costretto dalla chiesa cattolica a rinnegare le sue idee. In Olanda invece, l’astronomo Christian Huygens che sosteneva tutte e due le teorie fu ricoperto di onori. In Olanda vennero inventati i microscopi, l’inventore era un amico di Huygens (intorno al 1590). I primi microscopi nacquero da una rielaborazione delle lenti di ingrandimento usate dai mercanti di tessuti per esaminare le stoffe. Christian Huygens e il suo amico inventore del microscopio sono considerati i progenitori di gran parte della medicina moderna. Infatti con grande meraviglia l’amico di Huygens scoprì che una goccia d’acqua racchiudeva un universo, quello dei microbi, che egli descrisse come “animaletti”. I due furono tra i primi ad individuare gli spermatozoi umani, fino allora mai visti. Huygens aveva dedotto dalle sue osservazioni al telescopio che Marte era un mondo anch’esso fondamentalmente abitato. “Che pianeta sprecato” diceva “se Marte fosse deserto”.

Il telescopio e il microscopio consentono all’osservazione dell’uomo di estendersi al regno del molto grande e del molto piccolo. Dal fatto che la luce passando attraverso una lente subiva una deviazione, Huygens anticipò la teoria che la luce fosse un’onda. Costruiva delle lenti che montava, continuamente, su telescopi sempre più grandi che andava costruendo, anche se ci mise parecchio prima di capire qual’era il loro giusto impiego.

Huygens fu il primo a distinguere delle scanalature sulla superficie di Marte, fu anche il primo ad avanzare l’ipotesi che Venere era completamente ricoperto di nubi. Fu il primo a comprendere la struttura degli anelli di Saturno. Le scoperte da lui fatte con il telescopio basterebbero da sole ad assicurargli un posto nella storia delle conquiste dell’uomo. Fu Huygens a scoprire Titano, la luna più grande di Saturno e a quanto sappiamo di tutto il Sistema Solare. Huygens restò affascinato dalle dimensioni enormi delle nubi di Giove.

Gli astronomi hanno bisogno di orologi molto precisi per calcolare il moto della sfera celeste e Huygens inventò una quantità di elementi per aumentare la precisione, da qui il nascere dell’orologio. Per meglio illustrare l’universo eliocentrico di Copernico costruì degli apparecchi che riproducessero il movimento del Sistema Solare, da Mercurio a Saturno. Gli strumenti che costruiva li firmava Christian Huygens l’inventore.

C’è chi dice che in Olanda la teoria copernicana fosse accettata anche nella vita quotidiana e riconosciuta da tutti gli astronomi, eccetto “quelli” egli scrisse “che non riuscivano a capire …”. Attraverso l’oceano dello spazio, le stelle sono altri soli. Una congettura che Huygens condivideva senza riserve. Egli concluse che se il nostro sistema planetario è costituito da un sole e da pianeti che gli girano intorno, anche gli altri soli dovevano avere dei pianeti che gli girassero intorno e che molti di questi pianeti potevano essere abitati.

Gli olandesi chiamavano le loro navi vascelli volanti, le navicelle spaziali sono le loro dirette discendenti, sono vascelli spaziali in viaggio verso qualche stella e che lungo la strada esplorano qualcuno dei pianeti. Uno dei prodotti principali che arrivavano con quei velieri partiti per l’esplorazione e per il commercio, erano i racconti, racconti di terre sconosciute. Essi evocavano il senso del fantastico e stimolavano ad altre esplorazioni.


I moderni viaggiatori nello spazio tornano anch’essi con dei racconti, racconti sui vari pianeti del nostro Sistema Solare. Racconti su Giove, che potrebbe contenere mille pianeti Terra, sul quale non esistono montagne, valli, vulcani o fiumi, è solo un immenso oceano fatto di nubi di gas. Ma ci sono altre cose affascinanti riguardo a Giove. Giove è formato soprattutto da idrogeno ed elio, esattamente come il Sole. Giove sarebbe potuto essere una stella, se fosse diventata una stella noi oggi vivremmo in un sistema stellare doppio con due soli.

Parecchio al di sotto delle nubi di Giove, il peso degli strati stagnanti dell’atmosfera che sono in eccesso provocano una pressione molto superiore a qualunque altra riscontrata sulla Terra. La pressione è così forte che dagli atomi di idrogeno scaturiscono elementi di idrogeno metallico. Ma proprio nel nucleo centrale di Giove potrebbe esserci una massa di roccia di ferro. Con l’invio della sonda Voyager verso Giove, il pianeta gigante ha cambiato aspetto, si sa di più.

Adesso seguono le impressioni di alcuni scienziati dei JPL del team Voyager. “Vedere le immagini ravvicinate di un mondo fino ad allora ignoto, ecco una delle sensazioni più grandi nella vita di uno studioso. Le prime ore del mattino del 9 luglio 1979 sui monitor televisivi a tempo reale dei JPL cominciammo a sapere qualcosa di più sulla luna di Giove, Europa…”.

Non si può osservare la superficie di un pianeta così diverso dal nostro senza chiedersi come nacque. Più si impara sugli altri mondi, meglio si conosce il nostro. I velieri olandesi portavano mercanzie rare e pregiate dai mondi da loro esplorati. Le nostre sonde spaziali Voyager ci forniscono informazioni rare e pregiate che vengono elaborate dai computer. Le informazioni vengono raccolte, catalogate, analizzate e sviluppate. Da esse ricaviamo mappe di mondi extraterrestri. Come fa un immagine ad arrivare dell’esterno del Sistema Solare fino a noi? La luce solare che colpisce la luna Europa viene riflessa nello spazio e una parte di essa investe le telecamere del Voyager creando così l’immagine, questa immagine viene trasmessa via radio attraverso un enorme distanza di miliardi di chilometri ad un radiotelescopio sulla Terra, in Australia diciamo. Il radiotelescopio comunica via satellite le informazioni ottenute ad una stazione nella California meridionale, da qui esse vengono ritrasmesse attraverso una serie di antenne a microonde a un computer del JPL, dove infine vengono sviluppate. La fotografia è fatta, sostanzialmente, come un clichè, cioè composta da migliaia di gradazioni che poi insieme formano il disegno. Le informazioni che arrivano al centro spaziale, una volta sviluppate, vengono memorizzate su dischi magnetici. Il prodotto finale di tutti questi collegamenti è una mappa ricca di informazioni.

Il Voyager I prese delle fotografie buone degli altri tre satelliti galileiani di Giove, ma non di Europa. Fu deciso di lasciare al Voyager II l’incarico di prendere delle foto ravvicinate di Europa. A prima vista essa somiglia stranamente alla superficie di Marte con una rete di canali, che Percival Lowell aveva immaginato egli stesso sul pianeta Marte. Un incredibile intricata ragnatela di linee diritte e curve che s’incontrano. Le linee diritte sono dei solchi? Sono dei rilievi? C’è un rapporto di qualche genere con la presenza terrestre? In che modo Europa illumina gli altri satelliti del sistema di Giove? Sono domande difficili, alle quali non siamo ancora in grado di dare una risposta.

Adesso seguono delle spiegazioni di alcuni scienziati del team Voyager.
“Che ne dite dell’idea di Jim, che siano geysers nelle depressioni?”
“Geysers nelle depressioni? Beh, ci vorrebbe un meccanismo per generarli”. 
(Quest’ultimo scienziato è J. Soderblom addetto all’interpretazione delle immagini).
“…sopra una crosta impenetrabile e sotto del liquido a pressione”
“Sì, ma allora c’è da chiedersi se esistono le condizioni per un’effervescenza…” 
(Quest’ultimo è scienziato delegato al progetto).
“Queste foto sono abbastanza ravvicinate per poter stabilire che non c’è niente che si espande lateralmente”.
“Dov’è l’immagine fortemente ravvicinata”.
“Era qui”.
“Ah eccola qui”.

Dopo le prime settimane da quando abbiamo ricevuto le immagini di Europa stavamo ancora discutendo.
“Siamo quasi riusciti ad ottenere il massimo dell’ingrandimento per vedere i crateri”.
“A parte le altre ipotesi qui c’è una serie di puntini molto piccoli…Tu credi che si tratti di fuoriuscita di gas, di soffioni, di solfatare, …”
“Non lo so. Ma ti mostro una cosa che ho appena scoperto. Guarda, qui.”
“Si vede una piccola apertura”.
“Esattamente. Per me è soltanto un cratere da impatto”.
“Non c’è nessun cratere da impatto”.
“Ne abbiamo appena scoperto uno”.

L’elaborazione delle immagini effettuata dai computer ha rivelato su Europa diverse segni che sembrano crateri da impatto, ma i grandi crateri sono stati cancellati da qualcosa. L’elaborazione dei computers ha svolto un ruolo molto importante anche in una delle scoperte più sorprendenti. Ha rivelato delle novità sul conto di un’altra luna accanto ad Europa, che si chiama Io. Anche dalla Terra si notava lo strano colore di Io. Poi il Voyager I si avvicinò ad Io, si pensava che ci potessero essere dei vulcani ma non si poteva essere sicuri. Poi Linda Morabito, del settore navigazione della missione Voyager, ingrandì con un computer una fotografia di Io per mettere in evidenza le stelle che si vedevano.

Linda Morabito: “Quattro giorni dopo che il Voyager I aveva completato l’avvicinamento ad Io, stavo osservando una strana immagine. Si vedeva una strana protuberanza anonima che fuoriusciva dalla superficie di Io”.

Di che si trattava? Si pensava che si trattasse di un vulcano. 
Linda Morabito: “Quindi, arrivammo alla conclusione che quello che stavamo osservando era il segno di un vulcano, provocato da un eruzione”.

Il Voyager aveva scoperto il primo vulcano attivo al di fuori della Terra, poi scoprimmo che su Io ci sono molti vulcani, esistono almeno 9 fumate attive a intermittenza e decine di centinaia di vulcani spenti. Le fumate potrebbero lanciare zolfo ed altre sostanze lontano da Io e questo spiegherebbe le nubi di zolfo che circondano Giove. Lungo i fianchi dei vulcani scorrono veri fiumi di zolfo, probabilmente sono essi a dare ad Io quel colore particolare, forse i vulcani attingono da un enorme mare sotterraneo di zolfo liquido.

Fino ad oggi nei nostri viaggi all’esterno del Sistema Solare, noi uomini siamo stati sulla Terra e abbiamo inviato dei computer in esplorazione al posto nostro. Forse un giorno andremo noi. Supponiamo per un momento, che come quei comandanti olandesi del XVII secolo, anche i computer a bordo dei Voyager tengano un giornale di bordo. Su quel giornale, una sintesi di quanto è accaduto sia sul Voyager I che sul Voyager II, si vedrebbe una cosa del genere.

  • 1° giorno. Dopo molte incertezze riguardo a provviste e strumenti, siamo decollati bene da Cape Canaveral per il nostro unico viaggio verso pianeti e stelle.

  • 13° giorno. Abbiamo scattato la prima fotografia della Terra e della Luna insieme nello spazio, una bella coppia.

  • 160° giorno. Difficoltà nell’apertura del braccio che sostiene la piattaforma della sonda scientifica. Se non risolviamo il problema non potremo scattare molte delle fotografie in programma.

  • 207° giorno. Risolto il problema del braccio. Ma ora c’è un’avaria alla radiotrasmittente principale, se si guasta anche la radio di riserva sulla Terra non si saprà mai più niente di noi.

  • 215° giorno. Stiamo attraversando l’orbita di Marte ed entriamo nella fascia dei grandi asteroidi.

  • 570° giorno. Riusciamo ad ottenere molti dettagli di Giove, cosa che neanche i più potenti telescopi sulla Terra sono mai riusciti a fare.

  • 640° giorno. Ora i disegni formati dalle nubi di Giove sono ben distinguibili e stupendi. Nessun pittore intrappolato sulla Terra ha mai immaginato un mondo così strano e affascinante. Le nuvole bianche alte, fredde sono cristalli di ammoniaca. Non conosciamo la natura delle nubi rosso scuro. Forse si tratta di macchie di fosforo o di zolfo o di molecole organiche complesse del tipo di quelle che quattro miliardi di anni fa originarono la vita sulla Terra. Che cos’è quella Macchia Rossa? È un’immensa colonna vorticosa di gas che si innalza al di sopra delle nubi, è talmente grande che potrebbe contenere una mezza dozzina di pianeti come la Terra. Alcuni pensano che si tratti di un enorme ciclone cominciato un milione di anni fa.

  • 650° giorno. L’incontro, un giorno di meraviglia. La navicella manovra in modo da permetterci di fotografare Callisto. Immagini della sorprendente superficie a reticolo di Ganimede. Un passaggio ravvicinato ad Europa. Una veduta ad Io con il suo vulcano. Superiamo senza danni le pericolose fasce di radiazioni e completiamo l’attraversamento nel piano dell’anello di Giove. Ora la nostra missione prevede l’esplorazione all’esterno del Sistema Solare.

Fra 10.000 anni il Voyager sarà immerso nell’oceano delle stelle più lontane.

Oltrepassiamo Giove a 750 milioni di chilometri dal Sole, Saturno è a un miliardo e mezzo, Urano a tre miliardi e Nettuno a quattro miliardi e mezzo di chilometri dal Sole. Saturno è il primo pianeta ad essere intravisto nel telescopio da Galileo. Ma solo adesso cominciamo a penetrare nei suoi misteri più profondi. Saturno è il secondo pianeta per grandezza del Sistema Solare, come Giove è ricoperto di nubi e compie una rotazione ogni 10 ore, ha un campo magnetico e una fascia di radiazioni molto deboli. Ha un sistema di anelli eccezionale e stupendo. Gli anelli sono formati da miliardi di piccole lune che girano intorno al pianeta con una propria orbita. La grande zona scura che divide gli anelli si chiama “Divisione di Cassini”, dal nome del collega di Huygens che la scoprì. Appena al di sotto del piano degli anelli vediamo un cielo tempestato di minuscole lune. Al di sopra degli anelli le lune si distinguono singolarmente. Sono corpi orbitanti di ghiaccio, taluni del diametro di un metro. Nelle zone più recenti del sistema degli anelli, non c’è stato ancora il tempo sufficiente perché gli urti e le collisioni arrotondassero gli orli di questi frammenti, di queste palle di neve.

Poi incontriamo Titano, enorme luna di Saturno ricoperta di nubi. Fu scoperta da Christian Huygens ed è la luna più grande del Sistema Solare. Ha un’atmosfera più densa di quella di Marte e uno spesso strato di nubi rosse, prodotte probabilmente da molecole organiche complesse, prodotte dai raggi ultravioletti del Sole e da altre fonti di energia esistenti nell’aria ricca di metano. Nessun veicolo spaziale terrestre è mai penetrato tra queste nubi e ha mai potuto vedere da vicino la superficie di questo mondo affascinante. Potrebbero esserci vulcani, valli di ghiaccio e, è solo un ipotesi, nascoste forme di vita molto diverse tra loro. Poi, allontanandoci da Titano, vediamo Saturno, una stupenda visione, che potrà essere ammirata anche fra secoli dai nostri discendenti.

Continuo…

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