Cosmos 8 di 12 – La nascita e il tipo dell’universo in cui viviamo

La nascita e il tipo dell’universo in cui viviamo

C’è un’esperienza comune a tutti gli esseri umani, l’esperienza della nascita. 
Il ricordo che noi abbiamo della nostra nascita è nel migliore dei casi misterioso e vago. 
Evoca il mistero di altre origini, per esempio quelle del cosmo. 
Che cosa c’era prima del nostro universo?
Esistono confini al cosmo?

Secondo la scienza attuale la storia dell’origine dell’universo comincia con un’esplosione che provocò l’espansione dello spazio. Circa 15 miliardi di anni fa, tutta la materia e l’energia che oggi formano l’universo visibile erano concentrati in uno spazio più piccolo della testa di uno spillo. Il cosmo esplose in una deflagrazione di dimensioni inimmaginabili, il Big Bang. E la materia dell’universo assieme al tessuto dello spazio stesso cominciarono ad espandersi in tutte le direzioni, così come fanno oggi.

Man mano che il tempo passava, il cosmo si raffreddava finché alla normale luce visibile lo spazio divenne scuro, com’è attualmente. Ma a quel punto cominciarono a formarsi piccole sacche di gas che diedero origine a strutture molto grosse, le galassie, di cui vediamo vari tipi, per esempio ci sono le gallassie ellittiche, spirali, ecc. Studiare le loro origini, la loro evoluzione ci aiuta ad allargare la nostra comprensione fino ai confini più remoti dell’universo. Le stelle sono disposte nelle galassie in molti modi diversi tra loro. Quando, per esempio, la faccia di una galassia a spirale è rivolta verso di noi possiamo vedere i bracci lunghi con miliardi di stelle. Quando, in altri casi, la galassia si presenta lateralmente possiamo vedere le bande di polveri e gas, dove, probabilmente, si stanno formando altre stelle. Nelle galassie spirali barrate, il fiume di materia stellare passa per il centro della galassia collegandosi ai bracci a spirale. Le galassie ellittiche possono essere giganti oppure nane. Ci sono molte galassie dove si verificano esplosioni, collisioni e dove esistono nubi di gas e di stelle, veri ponti tra le galassie.

Una galassia è fatta di miliardi di soli tenuti insieme dalla gravità. L’evoluzione delle galassie è regolata ovunque dalle stesse leggi fisiche. In alcuni casi i bracci a spirale si formano da soli. In altri casi, l’incontro gravitazionale ravvicinato tra due galassie provocherà la formazione dei bracci a spirale. Ma quando una galassia incontra un’altra, attraversandola, è difficile prevedere quello che ne uscirà fuori. Ma la forma delle galassie può modificarsi rapidamente. Lo scontro diretto di due galassie può durare centinaia di milioni di anni. Quando una galassia piccola e densa si scontra con un’altra molto più grande, può risultare una delle galassie più belle tra quelle irregolari, una galassia ad anello.

A volte le galassie esplodono. Le quasar, distanti, probabilmente, miliardi di anni luce potrebbero essere un esplosione colossale di galassie. Ma non si sa precisamente. Le quasar sono ancora un mistero. Le galassie sono la dimostrazione dell’ordine che è alla base dell’universo. Alcuni astronomi ritengono che le quasar siano l’effetto della caduta di milioni di stelle in un immenso buco nero nel nucleo della galassia. Qualcosa di simile ad un buco nero, qualcosa dotato di grande massa, di grande densità e molto piccolo.

Le stelle della Via Lattea si muovono con grande irregolarità, il Sole impiega 350 milioni di anni per fare un giro intorno al nucleo della Galassia. Le fasce periferiche della Galassia hanno un moto di rivoluzione più lento di quelle interne. Nelle zone di maggiore densità si formano le stelle giovani, calde e lucenti, cioè quelle stelle che compongono i bracci a spirale. Queste stelle calde brillano solo per dieci milioni di anni, più o meno, e poi esplodono. Ma, appena una stella che compone la spirale esplode, dai suoi detriti si formano nuove stelle e la spirale mantiene la sua forma.

Il Sole è rientrato e uscito dai bracci a spirale durante le rivoluzioni che ha compiuto intorno alla Via Lattea; in questo periodo noi terrestri viviamo sull’orlo di un braccio a spirale.


La chiave della cosmologia, dello studio di tutto l’universo finisce con il rivelarsi con un’esperienza di vita quotidiana. Immaginate un oggetto in movimento, per esempio anche un’onda di luce o un’onda sonora. Quando l’oggetto ci passa vicini il suono che sentiamo cambia di tono, questo cambiamento di tonalità si chiama effetto Doppler. Per il guidatore della locomotiva, se stiamo considerando una locomotiva di treno, la tonalità risulterà sempre uguale. Le cause di questo effetto saranno più facili da capire idealizzando le onde sonore. La locomotiva ferma emette onde sonore a cerchi perfetti come quelli provocati da un sasso in uno stagno. Facciamo partire il treno. Durante la marcia le onde che si propagano in avanti si comprimono l’una addosso all’altra, mentre quelle che si propagano all’indietro si distanziano. Le onde più compresse hanno una frequenza e una tonalità più alta delle onde distanziate.

La stessa cosa vale per le onde di luce. I colori stanno alla luce esattamente come le tonalità stanno al suono. Le onde di luce compresse tendono al blu, quelle più distanti tra loro tendono al rosso. La velocità del treno ci consente di avvertire il cambiamento del suono, ma non quello della luce. Il treno dovrebbe andare ad una velocità maggiore. Ne consegue che l’effetto Doppler delle onde luminose è la chiave del cosmo.

La prova di questo fu fornita incredibilmente da una persona che non era andata oltre la terza media. Tra il 1910 e il 1920 era il costruttore, sul monte Wilson, del più grande telescopio del mondo destinato ad osservare il cielo sopra Los Angeles. I pezzi più grandi del telescopio dovettero essere portati a dorso di mulo in cima al monte per poi essere montati. C’era lì un giovanotto di nome M.L. Humason , figlio un po’ scapestrato di un banchiere californiano, però era un ragazzo intelligente. Quando, nel 1917, l’Osservatorio fu completato, egli fece in modo di restare lassù come guardiano ed elettricista. Una sera, così si racconta, l’assistente di notte dell’Osservatorio si ammalò e Humason fu invitato a sostituirlo. Era un giocatore d’azzardo, noto per la sua avidità a poker e al tavolo dei dadi, ma qui scoprì di avere un talento naturale nel maneggiare gli strumenti astronomici, divenne così l’esperto del telescopio. Alla fine degli anni ’20 Humason era in grado di effettuare da solo le osservazioni. Gli venne assegnato a sua volta un assistente.

Un telescopio deve essere in grado di puntare con estrema precisione su una determinata regione del cielo e di mantenere quell’orientamento. Quello di monte Wilson è uno strumento che pesa circa 65 tonnellate, ma deve muoversi con una precisione maggiore del più preciso orologio da polso. Il generatore di elettricità deve funzionare senza variazioni. La cupola viene aperta alcune ore prima delle osservazioni per consentire alla temperatura esterna di livellarsi con quella interna. Quella sera Humason preparò, come sempre, le lastre fotografiche. Quelle osservazioni facevano parte di un programma che Humason, con il suo maestro l’astronomo Edwin Hubble, stavano svolgendo per calcolare l’effetto Doppler proveniente dalle galassie più lontane allora conosciute. Ma le galassie più lontane hanno una luce molto debole e quindi fotografarle, anche con i telescopi più grandi del mondo, richiedeva tempi di esposizione molto lunghi, per questo le fotografie duravano tutta la notte e talvolta dovevano essere prolungate alle notti successive. Humason consegnò all’assistente di notte le coordinate celesti della galassia prescelta. Durante la notte, lunga e fredda, provvedette alle opportune correzioni del telescopio, in modo che seguisse con estrema precisione i movimenti della galassia.

La luce della galassia era troppo debole per essere vista in diretta con il telescopio, però riuscì a impressionare la lastra fotografica ricorrendo a tempi di esposizione molto lunghi. Per poter puntare il telescopio sulla galassia, si puntava sulla stella più vicina alla galassia e poi si spostava il telescopio su una zona di cielo apparentemente vuota, nella quale durante tutta la notte la luce della galassia non visibile si accumulerà impressionando la lastra fotografica. Il telescopio concentra la luce della galassia nello spettrometro, dal quale verrà scomposta nell’arcobaleno di colori che la costituiscono. Lo spettro verrà poi impresso sulla piccola lastra di vetro.

Il telescopio anche se è grande riesce a inquadrare solo una minuscola zona di cielo e, poiché la Terra gira, l’immagine della galassia esce dal campo visivo del telescopio in qualche minuto. Humason dovette restare sveglio per seguire la galassia con i meccanismi delicati del telescopio che lo muovevano lentamente nella direzione opposta per compensare la rotazione della Terra. Si trattava di un lavoro molto difficile, di routine, noioso, ma, anche se non lo sapevano ancora, Hubble e Humason stavano meticolosamente costruendo la prova del Big Bang.

Quella notte scoprirono che più distante è una galassia più lo spettro di colori tende al rosso. E fu per questa tendenza al rosso dovuta all’effetto Doppler che le galassie più lontane dovevano allontanarsi da noi. Al termine dell’osservazione Humason estrasse la lastra e facendo molta attenzione la portò giù per svilupparla. Humason trovò una tendenza al rosso in quasi tutte le galassie più lontane, fenomeno paragonabile al cambio di tonalità in una locomotiva che si allontana. E più è distante da noi e più rapidamente si allontana.

Fu una scoperta grandiosa, ciò provava la stessa espansione dell’universo. Humason e Hubble avevano scoperto il Big Bang. Le galassie più vicine mostrano un effetto Doppler molto scarso, ma quando Humason fotografò lo spettro di galassie più lontane trovò che lo spettro era spostato verso il rosso; e quando prese in esame una galassia lontanissima, distante quattro miliardi di anni luce, trovò che lo spettro era ancora più spostato verso il rosso. Le accurate osservazioni di Humason rivelarono l’espansione dell’universo.


Quando discutono sulla possibile vastità della struttura del cosmo, gli astronomi, qualche volta, dicono che lo spazio è curvo oppure che l’universo è limitato e senza confini. Di cosa parleranno mai?

Immaginiamo di essere perfettamente piatti. In questo modo, siamo fatti in larghezza e in lunghezza, ma in altezza zero assoluto. In questa situazione, noi abitanti del mondo piatto, conosciamo la destra e la sinistra, l’avanti e l’indietro, ma non sappiamo cosa siano l’alto e il basso. Ora, immaginiamo che nel nostro mondo piatto, volandoci sopra la testa, arrivi una strana creatura tridimensionale.

Questa creatura a tre dimensioni, per esempio una mela, vede l’essere piatto, per esempio un quadrato, dall’aspetto attraente e simpatico, lo osserva mentre entra in casa e, in uno slancio di amicizia, decide di presentarsi. “Buongiorno” dice la creatura tridimensionale, “come va? Io sono un turista che viene dalla terza dimensione”. Il povero quadrato si guarda intorno, per tutta la casa, ma non vede nessuno e per di più ha come sentito un “buongiorno” dal suo interno, una voce dal di dentro. Allora comincia a preoccuparsi un po’ del proprio stato mentale. La creatura tridimensionale non è contenta di essere considerata un’aberrazione psicologica e quindi decide di scendere per entrare realmente nel mondo piatto. Un essere tridimensionale nel mondo piatto esiste solo parzialmente, di lui è visibile solo una sezione piana che lo attraversa, un suo spaccato. Come?

Quando un essere tridimensionale tocca il suolo del mondo piatto di lui si vede solamente il punto di contatto con il terreno. Via via che la mela scivola sul piano si vedono apparire continuamente dal nulla delle figure, allora il quadrato conclude che è diventato matto. Però la mela non appare molto soddisfatta di questa conclusione e, quindi, con un gesto non molto amichevole prende contatto con il quadrato dal di sotto e lo solleva senza tanti complimenti facendolo fluttuare al di sopra del paese piatto. All’inizio, il quadrato non si rende conto di quello che succede. Ma dopo un po’ finisce con l’accorgersi che sta vedendo l’interno delle case, e quindi il paese piatto, soltanto che sta vedendo il paese piatto in una prospettiva fino a quel momento sconosciuta.

Ora, il nostro essere piatto ridiscende lentamente verso il suolo e gli amici gli corrono intorno per parlargli. Dal loro punto di vista egli è misteriosamente apparso dal nulla, non è arrivato camminando. E gli chiedono: “Ma insomma, che cosa ti è successo?”
Il povero quadrato risponde: “Sono stato in un’altra misteriosa dimensione che si chiama sopra.”
Allora, gli amici gli danno delle pacche sulle spalle e gli chiedono: “Allora, dov’è questa terza dimensione? Indicacela.”
Ma il povero quadrato non può soddisfare la richiesta.

Il fatto più interessante in tutto questo è l’altra dimensione e nasce lo spazio a tre dimensioni. Vogliamo parlare della quarta dimensione? Per cominciare prendiamo in esame un cubo. Possiamo immaginare di formarlo nel modo seguente: prendiamo un segmento di retta e lo eleviamo perpendicolarmente per una lunghezza pari a lui e si forma un quadrato. Muoviamo il quadrato perpendicolarmente per la stessa lunghezza e avremo un cubo. Ora, questo cubo, come è naturale, forma un’ombra, che è una figura piatta, a due dimensioni. Ci accorgiamo subito che nell’ombra di un oggetto tridimensionale la terza dimensione non è raffigurata totalmente nella sua proiezione a due dimensioni, ma è parte del prezzo che si paga per la perdita di una dimensione. Adesso, prendiamo il cubo, che è un oggetto della terza dimensione e trasportiamolo in una quarta dimensione fisica, cioè ad angolo retto rispetto alle tre dimensioni. Non posso dirvi quale sia la direzione, ma immaginate che esista una quarta dimensione fisica. In questo caso, potremmo generare un ipercubo a quattro dimensioni, chiamato anche tesseratto.

Non possiamo vedere il tesseratto perché siamo prigionieri di tre dimensioni, però possiamo vedere l’ombra in tre dimensioni di un ipercubo a quattro dimensioni. L’ombra è formata da due cubi concentrici con tutti i vertici uniti da linee. C’è da dire che il vero tesseratto a quattro dimensioni avrebbe tutti i lati di uguale lunghezza e gli angoli tutti retti. Anche se non possiamo immaginare un mondo a quattro dimensioni, possiamo pensare che esiste senza difficoltà.

Ora, immaginate l’universo esattamente come il paese piatto, a due sole dimensioni. È assolutamente piatto in qualunque direzione. E, all’insaputa dei suoi abitanti questo universo bidimensionale è curvato in una terza dimensione fisica, forse in una sfera. Ma comunque è un qualcosa totalmente al di fuori della loro conoscenza.

Localmente, questo universo appare piatto, senza dubbio, ma se uno dei suoi abitanti piatti si fa una bella passeggiata lungo quella che gli sembra una linea retta finirà con lo scoprire un grande mistero. Supponiamo di fissare un suo punto di partenza e che a questo punto si muova all’esplorazione del suo universo. Non torna mai indietro e non incontra mai un limite; egli non sa che il suo universo apparentemente piatto, in realtà, è curvo. Perché potrebbe essere curvo? Perché in questo universo c’è talmente tanta materia da curvare lo spazio chiudendolo su se stesso, ma sono cose che il nostro essere piatto non sa. Dopo aver camminato a lungo, scoprirà di essere tornato al punto di partenza; deve esistere una terza dimensione. Il nostro essere piatto non riesce a concepire un terza dimensione, ma può arrivarci per deduzione. Adesso, aumentate di una tutte le dimensioni di questa storia e avrete la situazione simile a quella che molti cosmologi sostengono che possa essere applicata a noi. Noi siamo esseri tridimensionali e vediamo il nostro universo come appiattito in tre dimensioni, ma può darsi che sia curvato in una quarta.

Possiamo parlare di una quarta dimensione fisica, ma non possiamo sperimentarla, nessuno può indicarci la quarta dimensione. Ora, immaginiamo che questo universo si vada espandendo. Cosa succede? Diventiamo come un pallone a quattro dimensioni. Gli astronomi, in una sola galassia, considereranno che tutte le altre galassie si stanno allontanando dalla sua, più lonntane sono le altre galassie e più velocemente sembrano muoversi.

La scoperta di Humason e Hubble consiste proprio in questo. Sulla superficie di questo universo curvo non esistono nè confini, nè centro, l’universo può essere un punto e al tempo stesso essere sconfinato. La tendenza al rosso delle galassie più lontane indusse alcuni studiosi contemporanei di Humason a ritenere che noi eravamo al centro dell’universo in espansione e che il nostro posto nello spazio era in qualche modo privilegiato.

Ma gli osservatori di qualunque galassia vedranno praticamente la stessa cosa, cioè che tutte le galassie si stanno allontanando da loro. Se c’è abbastanza materia per chiudere l’universo a causa della gravità, vuol dire che esso è avvolto su se stesso come una sfera. Se non c’è abbastanza materia per rinchiudere il cosmo, vuol dire che il nostro universo ha una forma aperta che si estende per sempre in tutte le direzioni.

Questa dell’universo “a sella” è solo una delle infinite ipotesi sulle specie possibili degli universi aperti. A differenza degli universi chiusi, come una sfera, gli universi aperti hanno per sè una quantità infinita di spazio. Infatti se il nostro universo è realmente finito moriremo all’interno di un buco nero. Tuttavia esiste una possibile via di fuga, un ipotetico tunnel attraverso la quarta dimensione. Possiamo trovare un tunnel del genere? Sopravviveremmo al viaggio? Potremmo riemergere in un altro spazio e in un altro tempo, forse in un altro universo.

Ma noi non sappiamo ancora se l’universo è aperto o chiuso, per di più ci sono alcuni astronomi che dicono che la tendenza al rosso delle galassie lontane non sia dovuto all’effetto Doppler e che non credono molto alla teoria dell’universo in espansione, la teoria del Big Bang.


Il moderno mito scientifico sulla creazione è il Big Bang, la grande esplosione. Anticamente, molte civiltà ritenevano che il mondo fosse vecchio solo di qualche generazione umana. Quasi nessuno aveva capito che il cosmo era ancora più vecchio.

Gli unici a capire furono gli Indiani. Più di qualunque altra divinità, essi annotavano e valutavano i cicli della natura, il sorgere e il tramontare del Sole e delle stelle, le fasi della Luna, il trascorrere delle stagioni.

Nel mese di gennaio si svolge in tutta l’India meridionale un’antichissima cerimonia, il festeggiamento della generosità della natura in occasione del raccolto annuale delle messi. Anche gli animali al lavoro hanno un giorno di festa. Per terra vengono composti disegni a colori vivaci per propiziarsi l’armonia e la buona sorte del nuovo anno. Però, non è solo una festa del raccolto, è legata a una tradizione cosmologica molto più profonda. È una dimostrazione di gioia per il fatto che esistono i cicli della natura; ma come potrebbero verificarsi questi cicli se non ci fossero degli dei a volerli? La religione indù è l’unica tra le grandi fedi del mondo a professare la credenza che il cosmo, nella sua totalità, passi attraverso un immenso numero di sue morti e di sue rinascite.

Se è vero che l’universo oscilla, che la moderna versione scientifica della cosmologia indù è valida, allora sorgono interrogativi ancora più strani. Alcuni scienziati si chiedono, considerando un universo che oscilla, cosa mai può accadere durante il passaggio dalla contrazione all’espansione. Alcuni pensano che le leggi della natura a quel punto vengono rimescolate a caso, che il tipo di fisica e di chimica che abbiamo in questo universo rappresenta solo una delle infinite varietà delle possibili leggi naturali. È facile constatare che solo una varietà, molto ristretta, delle leggi della natura va d’accordo con galassie, stelle, pianeti, vita e intelligenza.

Se è vero che le leggi di natura sono rimescolate così a caso, allora è solo per la più straordinaria delle coincidenze che questa grossa slot machine cosmica abbia combinato, stavolta, un universo che sembra fatto per noi. Dunque viviamo in un universo che si espande per l’eternità oppure in uno dove c’è materia concatenata di cicli senza fine? C’è un modo di rispondere a questa domanda, non in modo mistico, ma un modo scientifico, facendo un accurato calcolo di tutta la materia che c’è nell’universo oppure dirigendo l’osservazione all’estremo confine del cosmo stesso.

I nostri telescopi sono in grado di captare le quasar più lontane, distanti miliardi di anni luce e che si espandono assieme allo spazio. I nostri telescopi hanno individuato anche le radiazioni cosmiche del passato, ai tempi del Big Bang, raffreddatisi e tendenti al rosso.

I radiotelescopi sono dotati di una sensibilità eccezionale, per esempio captano una quasar molto lontana e quindi molto debole, le cui radiazioni captate dai radiotelescopi hanno una potenza di circa un milionesimo di miliardesimo di watt. La quantità totale di energia ricevuta da tutti i radiotelescopi del pianeta Terra è inferiore all’energia di un singolo fiocco di neve che tocchi il terreno. Quando captano le radiazioni cosmiche del passato, quando puntano le quasar, ecc., i radioastronomi hanno a che fare con delle quantità di energia quasi vicine allo zero. I nostri radiotelescopi sono un monumento all’ingegno umano. Essi raccolgono le deboli onde radio, le mettono a fuoco, le amplificano e poi le trasformano in immagini di nebulose, di galassie, di quasar.

Se avessimo degli occhi che funzionino alla luce delle onde radio, sarebbero più grandi delle ruote di una carrozza. Ogni volta che noi usiamo un nuovo tipo di luce per osservare il cosmo, apriamo una nuova porta alla nostra percezione. È una costante indagine dell’uomo dentro i grandi interrogativi del cosmo.

Un’altra importante scoperta è stata fatta da alcuni satelliti lanciati in orbita per studiare il cielo ai raggi X. A quanto pare c’è un’immensa nube di idrogeno estremamente caldo nello spazio tra alcune galassie. Ora, se questa materia intergalattica fosse sufficiente a chiudere il cosmo, vivremmo in un cosmo chiuso e oscillante.

Ma c’è un’altra ipotesi ancora più ardita e affascinante, una delle più ardite nel campo sia scientifico che religioso. Non è assolutamente dimostrata, forse non lo sarà mai. Il nostro universo, fino alla più remota galassia, sarebbe un elettrone racchiuso in un universo di dimensioni tali, che non lo potremo mai vedere. E questo secondo universo sarebbe solo una particella semplice di un universo ancora più grande e così via.

Continuo…

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