L’[in]esistenza di Dio: gli argomenti dei credenti

DA: UAAR

LA PROVA ONTOLOGICA

LA TESI. La mente umana può concepire l’esistenza di un essere perfetto, un essere definito come «una cosa della quale non può essere concepita un’altra più grande». E questo essere non potrebbe essere perfetto se non avesse anche l’attributo dell’esistenza. Se ne deduce che un essere perfetto deve esistere.

Questa prova fu introdotta da Anselmo d’Aosta alla fine dell’XI secolo, e sostenuta, in tempi più recenti, da Cartesio e Leibniz.
LA REPLICA. Una simile formulazione dimostra solo che il concetto di Dio include il concetto di esistenza, così come il concetto di “moglie” include il concetto di “marito”. Ma non necessariamente ciò che la mente umana concepisce, esiste poi realmente.
Già il monaco Gaunilone controbatté ad Anselmo che «si può immaginare l’esistenza di isole meravigliose, ma non è detto che esse esistano realmente». Tommaso d’Aquino aggiunse che «tra gli atei non è a tutti noto che Egli è quanto di più grande si possa pensare», negando di fatto la tesi. Immanuel Kant scrisse una famosa confutazione nella Critica della ragion pura: «essere, manifestamente, non è un predicato reale, cioè un concetto di qualche cosa che si possa aggiungere al concetto di una cosa», e quindi nessun ragionamento potrà mai trasformare la nostra idea di cento talleri in cento talleri effettivamente presenti nelle nostre tasche

LA PROVA COSMOLOGICA

LA TESI. Ogni cosa di questo mondo ha una causa, anche l’universo. Risalendo all’infinito all’indietro nella catena delle cause, dovremo per forza trovare una prima causa, una causa incausata. E questa non potrà che essere Dio.
Le due versioni più famose di questa “prova” sono state presentate da Aristotele e Tommaso d’Aquino, ma numerosi altri filosofi l’hanno fatta propria in vario modo.

LA REPLICA. Anche ammettendo che tutto abbia origine con il Big Bang, i credenti dovrebbero comunque spiegare cosa esisteva prima dell’universo e chi/cosa ha innescato la reazione a catena. La risposta più scontata a questo argomento è dunque chiedere ai suoi sostenitori chi ha creato Dio: la tesi stessa contraddice la sua premessa, perché se tutto ha una causa, anche Dio deve averne una, e la “prova” dovrebbe semmai preventivamente spiegare perché Dio non ne dovrebbe avere una. Non vi sono dunque motivi validi per sostenere che l’universo deve avere una causa: potrebbe benissimo essere sempre esistito.
Un altro errore è che, in tal modo, non si risale necessariamente a Dio: si risale al massimo, e solo ipoteticamente, a qualcosa di più complesso e più grande dell’universo. Ma nulla dimostra che esso sia Dio, o un dio con gli attributi che gli vengono comunemente accreditati.
Anche questo argomento fu affrontato da Kant nella Critica della ragion pura. Secondo Michael Martin, il fatto che tanti filosofi, da più di due millenni, si siano impegnati senza successo a supportare questo argomento non depone, da un punto di vista probabilistico, a favore del fatto che una sua riproposta risolutiva verrà presentata in futuro. Sarebbe più ragionevole ammettere semplicemente la limitatezza delle capacità conoscitive umane, dei nostri sensi, del nostro intelletto.
La “prova” può essere confutata anche scientificamente. Ulteriori problemi nascono infatti da recenti teorie (benché ancora dibattute) che reputano possibile una “generazione dal nulla”. Ma, soprattutto, poiché si ritiene che con il Big Bang siano stati creati sia il tempo che lo spazio, e dato che una causa precede il suo effetto nel tempo, il tempo stesso potrebbe non avere una causa. Parafrasando Stephen Hawking, chiedersi cosa c’era prima del tempo equivale a chiedersi cosa ci sia più a Nord del Polo Nord.

LA PROVA TEOLOGICA

LA TESI. Nell’universo vigono leggi “naturali” e “perfette” e le probabilità che possa sorgere spontaneamente la vita sono infinitesimali.
Non solo, le costanti fisiche sono così strettamente relazionate tra loro che anche piccoli cambiamenti produrrebbero un universo completamente differente. Pensiamo poi alla complessità e alla perfezione nei dettagli di un occhio umano, composto di una quantità stratosferica di atomi che cooperano per il suo funzionamento. Ogni cosa e ogni essere sembra avere un fine ben specifico, e l’essere umano è una creatura dotata di un dono meraviglioso: l’intelligenza.
È impossibile che un universo così ordinato e complesso sia sorto per caso. Dietro questa perfezione deve per forza esserci un progettista perfetto che ha concepito ogni cosa, così come dietro ogni orologio c’è un orologiaio. Come si può negare che dietro la bellezza del creato non vi sia un creatore, che dietro la regolarità delle leggi fisiche non vi sia un supremo legislatore?
Anche la prova teleologica trova in Aristotele e Tommaso d’Aquino i suoi più noti sostenitori. Più recentemente, in reazione all’evoluzionismo, la tesi è nota sotto il nome di “disegno intelligente”.
LA REPLICA. Molte leggi non sono tali, ma sono solo delle medie statistiche basate sul calcolo probabilistico. Le leggi cosiddette “naturali” non sono prescrittive, sono solo descrizioni di fenomeni: se io rubo, vìolo una legge prescrittiva; ma se gli oggetti “disobbedissero” alla legge di gravità, non potremmo far altro che rivederla.
Se è vero che le probabilità della vita sono infinitamente basse, è anche vero che questo argomento dimostra che l’eventuale creatore non sarebbe perfetto (perché creare un universo infinito e confinare la vita su un piccolo pianeta sperduto?). Il fatto che le probabilità siano basse non significa poi che non esistano: sarebbe come voler dire che, visto che un solo biglietto su una decina di milioni vince la lotteria nazionale, la lotteria stessa è stata concepita per far vincere lui.
Né si può dire che l’universo sia perfetto, in quanto gran parte di esso è invivibile, e il nostro mondo è pieno di difetti: ammesso che abbia avuto un progettista, ben difficilmente lo si potrebbe definire “perfetto”, e da questo punto di vista l’evoluzionismo offre una spiegazione migliore. Lo stesso occhio umano non è perfetto (esistono gli oculisti, e nessun essere umano ha la vista di un falco).
Le costanti fisiche sono del resto straordinariamente lontane dai numeri perfetti: se si ritiene che l’universo sia un “perfetto matematico”, la circostanza che le sue connotazioni fondamentali siano così palesemente imperfette contraddice tale assunto.
L’universo non è un orologio, perché la vita è qualcosa di diverso da un artefatto: quando vediamo uno scoiattolo non pensiamo che esista un costruttore di scoiattoli, ma pensiamo che sia stato concepito da una coppia di scoiattoli. Inoltre, come già notò David Hume, noi possiamo concepire l’orologiaio perché abbiamo esperienza sia degli orologiai che degli orologi, e del rapporto che esiste tra loro: ma noi non abbiamo alcuna esperienza né di Dio, né dell’universo nel suo complesso (così come non l’avremmo dell’orologio se non ne avessimo mai visto uno). Alla stessa stregua, dato che i comportamenti degli esseri umani ci sono più familiari dei comportamenti dei marziani, ci è più semplice spiegare un furto come opera di esseri umani, piuttosto che come opera di marziani.
Quanto al fine a cui tenderebbero le “creature”, esso è spesso una proiezione dei desideri dei credenti, che vorrebbero in tal modo veder confermate le proprie asserzioni: Voltaire parodiò questa impostazione, sostenendo che la forma del naso è dovuta alla necessità di adattarlo agli occhiali. Allo stesso modo, i corpi umani sono usati come cibo da batteri e virus, ma nessun credente sosterrebbe che è questo lo scopo dei corpi umani.
Kant sostenne che questa prova può al massimo dimostrare l’esistenza di un Dio ordinatore, e non di un Dio creatore (la cui esistenza non è a sua volta dimostrabile).
Rimane infine il solito problema: chi avrebbe progettato un progettista così perfetto (o la sua mente)?

LA SCOMESSA DI PASCAL

LA TESI. Questa tesi fu proposta dal filosofo francese Blaise Pascal. L’argomento è il seguente: conviene credere, perché se si crede e Dio esiste si vince la vita eterna; se si crede e Dio non esiste, si vive comunque una vita più lieta rispetto a quella che ha come prospettiva il definitivo annichilimento.
LA REPLICA. Una prima risposta è che le percentuali non sono 50-50. Sarebbe come dire che se compro un biglietto della lotteria le possibilità di vincere o di perdere sono identiche: nel caso in questione, non sappiamo nemmeno quante siano le reali possibilità di “vincere”.
Inoltre, questo argomento non indica in quale religione credere: le religioni sono migliaia, ma solo una può portare alla vita eterna. Come se non bastasse, potrebbe teoricamente esistere una pluralità di divinità: in quale credere? E soprattutto: quali regole seguire? Perché credere in Dio generalmente non basta, le prescrizioni religiose esigono anche l’obbedienza a un numero consistente di regole, condizione indispensabile per evitare le pene ultraterrene.
Peraltro, se Dio ci ha dato la sua intelligenza per credere in lui, e noi non gli crediamo, vuol dire che Dio non ci avrebbe donato abbastanza intelligenza per riuscirci, e questo sarebbe un ottimo argomento di difesa di fronte a un eventuale giudizio divino.
Ancora, anche accettando il ragionamento di Pascal, non è assodato che Dio gradisca che gli si creda solo per un semplice calcolo di convenienza: è più facile pensare che, se esiste e possiede gli attributi del Dio cristiano, giudicherà degni della vita eterna solo coloro che credono sinceramente. Infine, va valutato che, tra le infinite divinità possibili, potrebbe esistere anche quella che subordina la felicità eterna all’assenza di qualsiasi forma di credenza nei loro confronti: si salverebbero solo gli atei e gli agnostici…
L’argomento si riduce quindi a una formulazione di questo tipo: «se sei credente in Dio, è nel tuo interesse credere in Dio». Buono solo per chi una fede già ce l’ha.

L’ARGOMENTO MORALE

LA TESI. Ogni essere umano ha una conoscenza del bene e del male. Questa conoscenza deve dunque essere esterna ad esso, e non può che provenire da una divinità: se non esistesse Dio non esisterebbero il giusto e l’ingiusto.
Inoltre, l’esistenza di Dio si rende necessaria per ristabilire la giustizia in questo mondo: la società umana ha bisogno di un’etica per sopravvivere.
Questo argomento fu ideato da Immanuel Kant in sostituzione delle tre precedenti prove, e sviluppato in seguito da altri, ad esempio il cardinal Newman. Dostoevskij riprese l’argomento nei Fratelli Karamazov sostenendo che «se Dio non esiste, allora tutto è permesso».
LA REPLICA. Come lo stesso Kant ammise, in questo modo non si dimostra l’esistenza di Dio, ma la si postula solamente. E questo affinché abbia un senso l’idea che la vita virtuosa sia adeguatamente ricompensata. Ma il fatto che un concetto possa rivelarsi utile non significa che sia anche vero.
Né la moralità crolla se manca il concetto di Dio: c’è chi ritiene che la virtù sia un premio in sé, oppure che debba essere perseguita indipendentemente da una eventuale ricompensa.
Quanto alla differenza tra il giusto e l’ingiusto, Bertrand Russell osservò che se essa è di origine divina, allora il concetto di giusto e ingiusto non può essere applicato a Dio stesso e, quindi, non si può sostenere che Dio è buono. Se Dio è buono, allora l’idea di giusto e ingiusto è indipendente e anteriore dal suo volere. Russell aggiunse che «se non c’è giustizia in questo mondo, non ce n’è nemmeno altrove».
La storia umana è la migliore confutazione di questa tesi: nel corso dei millenni, i crimini commessi o permessi dalle religioni sono stati talmente tanti che, come ha fatto Michel Onfray, si potrebbe quasi sostenere il contrario: «Se Dio esiste tutto è permesso». Il sacramento della confessione è stato del resto utilizzato da tanti cattolici proprio in questo modo: ci si “pente” dei peccati commessi e si è quindi “liberi” di commetterne altri.

IL CONSENSO UNIVERSALE

LA TESI. La credenza di Dio è un dato di fatto universale, nel tempo e nello spazio: rappresenta dunque un dato innato dell’essere umano, tanto che quest’ultimo può essere definito, come fa la scuola fenomenologica, un homo religiosus.
Se tutti credono in Dio vuol dire che Dio esiste.
Del resto, tutti, anche gli atei, credono in qualcosa.
Inoltre, chi nasce in una nazione cristiana, dove tutti sono cristiani, è giusto e doveroso che segua quella religione.
LA REPLICA. Se è vero che, storicamente, non sono mai esistite società prive di religione, non significa automaticamente che questo dato si debba estendere automaticamente alla preistoria più lontana e ai secoli che devono ancora venire. L’esistenza stessa di atei e agnostici (un sesto della popolazione mondiale attuale, secondo la World Christian Encyclopedia) dimostra abbondantemente che non vi è alcun innatismo nella credenza in Dio, che è invece un prodotto storico-culturale. Seguendo il ragionamento di questa tesi, si potrebbe per assurdo sostenere che la storia umana manifesta un progressivo approdo verso l’ateismo, mentre la religione non costituirebbe altro che una tappa intermedia successiva all’abbandono del primordiale animismo.
Anche sostenere che Dio esiste perché la maggioranza della popolazione ci crede è un errore di argomentazione: in passato quasi tutti credevano che la Terra fosse piatta, ma questa credenza si è rivelata falsa. Così come è errato sostenere che la religione sia un desiderio ineliminabile di molti uomini: lo sono anche gli stupri, ma nessuno utilizza (giustamente) questa constatazione come una verità universale.
Non è nemmeno corretto dire che “tutti” credono in qualcosa: il fatto che un non credente creda in determinati valori non autorizza chicchessia a sostenere che credere in Dio sia un fenomeno innato, ma dimostra, al contrario, che è possibile concepire etiche non religiose alla stessa stregua di quelle religiose. Vi è una nettissima differenza tra “avere delle opinioni” e “avere una fede”: solo la seconda affermazione si pone sul piano di un ragionamento sull’esistenza di Dio, e non è certo sufficiente a dimostrarla.
Infine, la tesi che «se viviamo in una società dove “tutti” sono cristiani è giusto e doveroso essere cristiani» non dimostra alcunché: esprime al massimo l’opinione, anch’essa da provare, che in società di questo tipo (sempre di meno, con l’avanzare della secolarizzazione e del multiculturalismo) può essere utile definirsi cristiani anche quando non lo si è. Un’opinione, peraltro, abbastanza ipocrita.

I TESTI SACRI

LA TESI. La Bibbia (o il Corano per gli islamici) può essere considerata una prova dell’esistenza di Dio.
LA REPLICA. I testi sacri sono tutti, senza eccezione alcuna, pieni di contraddizioni, e non riflettono altro che la temperie storico-culturale in cui furono concepiti. Sono stati trascritti, tramandati e tradotti più volte, non vi è alcuna certezza di fedeltà alla versione originale. Il credente è libero di ritenere che essi rafforzino la sua fede, ma non può in alcun modo utilizzarli per dimostrare l’esistenza di Dio, a meno che non spieghi perché Dio ha consentito che si scrivessero testi errati presentati come «divinamente ispirati».
Si deve anche aggiungere che molti passaggi dei testi sacri sono passibili di interpretazioni diverse, e ciò non legittima certo la loro autorevolezza: il credente dovrebbe quindi spiegare perché, se Dio esiste, non ha voluto concedere all’uomo quegli strumenti interpretativi necessari per comprendere in maniera univoca i documenti divinamente ispirati.
Va infine ricordato che i testi sacri sono migliaia: nessun credente si sogna di leggerli tutti prima di scegliere quello che ritiene più credibile, ma si limita semmai a rivendicare la credibilità di quello o quelli accettati dalla sua religione.

I MIRACOLI

LA TESI. I miracoli possono essere considerati prove dell’esistenza di Dio.
Per i cristiani, i miracoli terreni di Gesù, figlio di Dio, sono una delle motivazioni per cui credono.
LA REPLICA. Nessun miracolo è mai stato verificato e/o ripetuto in condizioni controllate, men che meno quelli di Gesù, di cui non esiste alcuna testimonianza storica di chi vi avrebbe assistito.
Inoltre, come notò Hume, se nessuna testimonianza umana può provare un miracolo, alla stessa stregua dovremmo rifiutare ogni testimonianza di chi sostiene di aver ricevuto una rivelazione divina direttamente da Dio.
Infine, nel caso di Gesù l’argomento si trasforma in un circolo vizioso: se i miracoli devono essere la prova che Gesù era figlio di Dio, allora la tesi che Gesù era il figlio di Dio non può essere usata per provare i suoi miracoli.

LA DELICITA’ DEL CREDENTE

LA TESI. Avere una fede rende il credente più felice e lo aiuta a vivere meglio.
LA REPLICA. In realtà, anche se l’assunto di questa tesi fosse vero, non dimostrerebbe affatto l’esistenza di Dio, ma solo, ancora una volta, che credervi può essere utile.
Nonostante i tanti studi avviati, non esiste peraltro alcuna evidenza scientifica che avere una fede renda la gente più felice. Non vi è alcuna “maggioranza atea” tra i suicidi, e molti medici attestano per contro che i non credenti affrontano la propria fine con maggior serenità dei credenti.
La felicità si può ottenere anche in modo estremamente “laico” (dedicandosi alle proprie passioni, ai propri affetti ecc), pur essendo ben consci della realtà della propria finitudine.

LA MANCANZA DI RISPOSTE

LA TESI. Vi sono tante cose che la scienza non riesce a spiegare. Ergo, solo Dio può essere la spiegazione di questi fenomeni: è l’unica spiegazione adeguata e corretta per questa “ignoranza”.
LA REPLICA. Una spiegazione adeguata non è necessariamente vera. Anche se fosse l’unica, altre spiegazioni potrebbero essere sviluppate in futuro. Millenni fa, quando i nostri antenati non sapevano ottenere il fuoco, la sua generazione spontanea era considerata un miracolo divino: era l’unica spiegazione che erano in grado di dare.
Una spiegazione non è considerata corretta solo perché è adeguata: una spiegazione, per essere considerata corretta, deve essere sottoposta a esperimenti in grado di confermarla e ad altri esperimenti in grado di smentirla, e solo se i primi hanno successo e i secondi no la scienza può considerare tale spiegazione veritiera, e solo “provvisoriamente” (cioè valida sino a prova contraria). Sostenere che vi sono fenomeni inspiegabili significa essere certi che le future ricerche scientifiche non riusciranno a trovare una risposta. Dio è solo una delle tante possibili spiegazioni di fenomeni inspiegabili: perché dovremmo scegliere proprio quella? L’ignoranza non può essere compensata dalla credenza, che è solo un surrogato di conoscenza.

IL NOME DEGLI ATEI

LA TESI. “Ateo” vuol dire “senza Dio”. Ma chi rifiuta Dio ne ammette implicitamente l’esistenza.
LA REPLICA. Va innanzitutto premesso che la definizione di “ateo” non l’hanno certo inventata gli atei, ma è stata loro affibbiata dai credenti.
Va poi detto che si può senz’altro rifiutare qualcosa che non esiste. Pochi credenti, si presume, credono all’esistenza di Nessie, il mostro di Loch Ness. Bene, pochi di loro amerebbero essere chiamati a-nessies, e a nessuno di loro piacerebbe sapere che, conseguentemente, ne ammettono l’esistenza.
In realtà con la parola “ateo” si nega un concetto (l’esistenza di Dio), non certo un essere esistente (Dio).

L’ESPERIENZA RELIGIOSA

LA TESI. Molte persone sostengono di avere avuto l’esperienza personale di un contatto con Dio.
LA REPLICA. Si può ribattere che molte persone hanno invece la netta convinzione che Dio non esista. Si tratta quindi di sensazioni personali, che non possono conseguentemente essere considerate una prova.
Del resto, esistono anche persone che sostengono di essere state rapite dagli UFO o di essere state visitate dallo spirito di Elvis Presley, ma l’unica cosa che si può dire in merito è che si tratta di una convinzione intima e per nulla generalizzabile, perché nessuno ha mai fornito alcuna prova di aver conosciuto personalmente Dio.
L’unica evidenza prodotta rimane dunque quella che esistono molte persone che sostengono di intuire la presenza di un essere sovrannaturale. Nulla attesta e può attestare che abbiano anche ragione.

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