Perchè non essere cristiani- Bertrand Russell

« Io sono fermamente convinto che le religioni, come sono dannose, così sono false. Il danno arrecato da una religione è di due specie: uno dipende dalla natura generica della fede, l’altro dalla natura particolare dei dogmi accettati. »

(Bertrand Russell, dalla prefazione di Perché non sono cristiano)

Fin dal titolo e dall’incipit Russell dichiara espressamente di voler spiegare le ragioni della sua non appartenenza al Cristianesimo, premurandosi però di chiarire il vero significato della parola. Cristiano non è, secondo il filosofo, qualunque uomo virtuoso, ma specificamente chi:

  • crede nei dogmi dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’ anima;
  • ritiene Gesù almeno il più saggio fra gli uomini.

Di qui Russell passa ad occuparsi specificamente di questi due aspetti, dapprima con una critica degli argomenti intellettuali e morali in favore dell’esistenza di Dio, e quindi analizzando la figura di Cristo. Conclude che l’adesione alla religione non è dettata da argomenti ma da fattori emotivi, e che la religione non è fonte di virtù: al contrario, essa ha praticato la crudeltà (ad esempio nel periodo dell’Inquisizione) e ostacolato il progresso, nel XX secolo come in passato. Per Russell il fondamento della religione è la paura, da cui solo la scienza e il libero intelletto sono capaci di emancipare l’uomo.

L’esistenza di Dio

Secondo il filosofo, “la Chiesa cattolica avrebbe calato in un dogma la possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio attraverso la pura ragione: ciò al fine di contrastare i liberi pensatori, al tempo in cui essi invece iniziavano a sostenere che la ragione può legittimamente dubitare di tale esistenza”.

Il primo argomento affrontato da Russell è quello della Causa Prima. Per l’autore “esso si fonda sulla convinzione erronea che ogni cosa deve avere una causa. Risalendo a ritroso il concatenamento di queste cause si deve per forza giungere a una Causa Prima, identificabile a questo punto con Dio. Russell ritiene che il principio si confuti da sé: se tutto deve avere una causa, allora anche Dio deve averla.” Conclude quindi che non c’è ragione per ipotizzare una Causa Prima delle cose, che ben potrebbero esistere da sempre.

L’argomento della legge naturale spiegava perché la natura, in apparenza, si comportasse sempre allo stesso modo, affermando che ciò avveniva per legge divina. Russell rileva “la natura statistica, e non precettiva, delle leggi naturali: esse non presuppongono dunque un legislatore. Ma se pure vi fosse un ordine superiore, ci si dovrebbe chiedere perché proprio quello e non un altro. Se esso è il migliore possibile, allora Dio stesso soggiace a leggi che gli indicano una via da percorrere; viceversa, l’argomento è contraddetto dalla presenza di un ente che agisce ad arbitrio.” Secondo Russell il principio è ormai superato dalle teorie di Albert Einstein.

“L’argomento del fine delle cose vuole che tutto sia preordinato a una finalità: in particolare, quella di permettere la nostra esistenza. La dottrina non è che un rovesciamento della realtà, ed è superata dalla teoria di Darwin: non è cioè l’ambiente che si conforma alle necessità dei viventi, ma questi che si adattano ad esso.”

L’argomento morale, infine, fu introdotto da Kant.” Secondo una sua variante, mancando Dio non potrebbero esistere le categorie del giusto e dell’ingiusto. Russell, ammessa solo in ipotesi la differenza fra giusto e ingiusto, confuta l’argomento arguendo che, se tale differenza trova origine in Dio, allora per lui essa non esiste, e dunque egli non può essere buono; se invece lo è, le due categorie devono preesistergli e non lo presuppongono.”

La figura di Cristo

Russell ritiene che Cristo sia stato il più saggio degli uomini. Considera quindi, “prescindendo dal problema della sua reale esistenza storica, che il suo insegnamento, pur eccellente sotto molti aspetti, appare difettoso sotto molti altri.”

In primo luogo egli si mostra sicuro dell’imminenza della sua seconda venuta. I primi cristiani credevano in questa imminenza, e, conformemente alla sua parola, non si curavano del domani; ma poi non vi fu alcuna seconda venuta. Russell identifica in tutto ciò un primo aspetto che non depone per la saggezza di Cristo.

“Ma c’è un altro aspetto, quello morale, che negherebbe tale saggezza: l’insegnamento di Gesù infatti prevede il castigo eterno. Ciò, secondo il filosofo gallese, è segno di scarsi sentimenti di umanità: Cristo ha infatti atterrito e scagliato invettive; in altri passi, ha mostrato inclemenza e inutile crudeltà.Per Russell Gesù non regge il paragone con Buddha e Socrate; quest’ultimo, in particolare, mai si fece prendere dall’ira e, in punto di morte, fu dolce anche con gli avversari. Dimenticando però (e questo appare grave), che lo stesso Buddha non disse mai che l’ultimo dei Sudra era uguale ad un Bramino, e che Gesù andò anche oltre Socrate dicendo mentre era ancora sulla croce “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno..” (Lc 23,34).

La religione ha contribuito alla civiltà?

Russell fa suo il concetto di religione in Lucrezio: una malattia frutto della paura e fonte di sofferenza. Il pensatore sottolinea poi la distanza fra il comune concetto di religione e la vera natura di questa. Mentre il primo riconduce la religione a una visione della morale e del mondo, la seconda è identificabile nell’ortodossia delle Chiese. Russell rileva come l’insegnamento di tutti i maestri religiosi sia stato assunto a verità assoluta, e sia per questa via diventato fonte del potere di una casta privilegiata incaricata di interpretarlo. Tale casta possederebbe dunque una verità eticamente lontana dal messaggio originario, e in quanto immutabile necessariamente contraria al progresso e fonte di oscurantismo.

Cristianesimo e sesso

Nel quadro dei rapporti fra religione e civiltà si inserisce la problematica dei rapporti fra cristianesimo e sesso. Russell pone in luce “i danni della visione della sessualità come peccato e della sua relegazione nel solo matrimonio indissolubile: dal mancato controllo delle nascite alle conseguenze nevrotiche del tabù nei giovani sottratti alla conoscenza dell’ars amandi.”

 

 

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