Richard Dawkins: Perché esiste la mente (1)


Questo è il nono post di una serie dedicata alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale e al libro di Richard Dawkins “Il Gene Egoista”, del 1976.
Questo episodio è piuttosto lungo ed ho dovuto dividerlo in due parti. In esso Dawkins illustra come la mente si sia potuta evolvere per selezione naturale. In breve, i cervelli sono dei veri e propri computer che permettono alle macchine di sopravvivenza di aumentare le proprie probabilità di sopravvivenza, effettuando simulazioni del mondo. (Come disse brillantemente Karl Popper, i cervelli “permettono alle nostre ipotesi di morire al posto nostro”.).

Siamo all’inizio del capitolo 4, “la macchina dei geni”. La parola a Dawkins.

Perché esiste la mente (parte 1)

Le macchine di sopravvivenza nacquero come un involucro passivo per i geni, e fornivano poco più di un muro per proteggerli dagli attacchi chimici dei loro rivali e dal bombardamento molecolare accidentale. Nei primi giorni esse si “cibavano” di molecole organiche facilmente reperibili nel brodo primordiale. Questa vita comoda giunse al termine quando il cibo organico nel brodo, che era stato lentamente costruito grazie all’influenza energetica di secoli di luce solare, si esaurì completamente. Un ramo fondamentale delle macchine di sopravvivenza, oggi noto come ‘piante’, cominciò ad usare direttamente la luce solare per costruire molecole complesse a partire da molecole semplici, riabilitando ad una velocità molto più alta i processi sintetici del brodo originale. Un altro ramo, oggi noto come animali, “scoprì” come sfruttare il lavoro chimico delle piante, mangiandole, o mangiando altri animali. Entrambi questi rami principali di macchine di sopravvivenza evolvevano trucchi sempre più ingegnosi per aumentare la propria efficienza nei loro vari modi di vivere, e nuovi modi di vivere venivano inaugurati di continuo. Si evolvevano sotto-rami e sotto-sotto-rami, ognuno altamente specializzato in un modo preciso di guadagnarsi da vivere: nel mare, sulla terra, nell’aria, sotto terra, sugli alberi, dentro altri corpi viventi. Questa ripetuta diramazione ha dato luce all’immensa varietà di animali e piante che oggi è così impressionante per noi.

Gli animali e le piante si evolvevano in corpi di molte cellule, dove ogni singola cellula riceveva una copia completa di tutti i geni. Questa cosa avvenne indipendentemente tante volte [..]. Alcune persone usano la metafora della colonia, descrivendo un corpo come una colonia di cellule. Io preferisco pensare al corpo come una colonia di geni, e alla cellula come una conveniente unità di funzionamento per le industrie chimiche dei geni.

I corpi potranno anche essere colonie di geni ma, nel loro comportamento, hanno innegabilmente acquisito un’individualità propria. Un animale si muove come un insieme coordinato, una unità. Soggettivamente io mi sento come un unità, non una colonia. Questo è prevedibile. La selezione ha favorito i geni che cooperano bene con gli altri. Nella feroce competizione per risorse scarse, nell’incessante lotta per mangiare altre macchine di sopravvivenza, e per evitare di essere mangiati, deve esserci stato un vantaggio ad avere una coordinazione centrale anziché un’anarchia all’interno di un corpo condiviso. Oggigiorno l’intricata co-evoluzione mutua dei geni è andata così avanti che la natura comunitaria di una singola macchina di sopravvivenza è virtualmente irriconoscibile. Addirittura molti biologi non la riconoscono, e saranno in disaccordo con me.

Fortunatamente per ciò che i giornalisti chiamerebbero la ‘credibilità’ del resto di questo libro, il disaccordo è in gran parte accademico. Proprio come non conviene parlare in termini di quanti e particelle fondamentali quando discutiamo il funzionamento di un’automobile, così è spesso noioso e non necessario tirare sempre in ballo i geni quando discutiamo il comportamento delle macchine di sopravvivenza. In pratica è spesso conveniente, come approssimazione, considerare il corpo individuale come un agente che “cerca” di aumentare il numero dei suoi geni che verranno tramandati alle generazioni future. Userò il linguaggio conveniente. A meno che non specifichi altrimenti, “comportamento altruistico” e “comportamento egoistico” significherà comportamento di un corpo animale verso un altro.

Questo capitolo riguarda il comportamento — quel trucco che consiste nel muoversi rapidamente che è stato largamente sfruttato dal ramo animale delle macchine di sopravvivenza. Gli animali divennero veicoli attivi di propagazione dei geni: macchine dei geni. La caratteristica del comportamento, nel senso in cui i biologi usano questo termine, è che è veloce. Le piante si muovono, ma molto lentamente. Quando le vediamo in filmati accelerati, le piante che crescono appaiono come animali attivi. Ma la maggior parte del movimento animale è in realtà una crescita irreversibile. Gli animali, invece, hanno evoluto modi di muoversi che sono centinaia di migliaia di volte più veloci. Inoltre, i movimenti che fanno sono reversibili, e ripetibili un numero indefinito di volte.

Lo strumento che gli animali hanno evoluto per ottenere un movimento rapido è il muscolo. I muscoli sono motori che, come il motore a vapore e il motore a combustione interna, usano l’energia immagazzinata in serbatoi chimici per generare movimento meccanico. La differenza è che la forza meccanica immediata di un muscolo è generata nella forma di tensione, anziché come pressione di gas come avviene nel caso nei motori a vapore e a combustione interna. Ma i muscoli sono come motori nel fatto che spesso esercitano la loro forza su corde, e leve con perni. In noi le leve sono note come ossa, le corde come tendini, e i perni come giunture. Sappiamo molto sull’esatto funzionamento molecolare dei muscoli, ma trovo più interessante la domanda di come le contrazioni muscolari vengono temporizzate.

Avete mai osservato una macchina artificiale di qualche complessità, una macchina per cucire, un telaio, una macchina di imbottigliamento automatico, o un imballatore di fieno? La forza motrice proviene da qualche parte, diciamo un motore elettrico o un trattore. Ma molto più stupefacente è la temporizzazione intricata delle operazioni. Le valvole si aprono e chiudono nell’ordine giusto, le dita d’acciaio rapidamente fanno un nodo intorno alla balla di fieno, e poi proprio al momento giusto viene fuori un coltello che taglia la corda. In molte macchine artificiali la temporizzazione è ottenuta con quella brillante invenzione che è la camma. La camma traduce un semplice moto rotatorio in una complessa sequenza ritmica di operazioni per mezzo di una ruota eccentrica o con una forma speciale. Un principio simile è usato dal carillon. Altre macchine come l’organo a vapore e la pianola usano rotoli di carta o carte perforate inserite con una disposizione precisa. Recentemente c’è stata una tendenza a sostituire questi meccanismi di temporizzazione meccanica con meccanismi elettronici. I computer digitali sono esempi di dispositivi grandi e versatili che possono essere usati per generare complesse sequenze temporali di movimenti. Il componente di base di una moderna macchina elettronica come un computer è il semiconduttore, di cui una forma familiare è il transistor.

Le macchine di sopravvivenza sembrano aver scavalcato a piè pari la camma e la carta perforata. L’apparato che usano per temporizzare i loro movimenti è molto più simile ad un computer elettronico, sebbene sia molto differente nel suo funzionamento interno. L’unità di base dei computer biologici, la cellula nervosa o un neurone, in realtà non è affatto come un transistor nel suo funzionamento interno. Certamente la codifica con cui i neuroni comunicano tra loro sembra essere un po’ come il codice a impulsi dei computer digitali, ma il singolo neurone è un unità di elaborazione molto più sofisticata del transistor. Invece di avere solo tre connessioni con altre componenti, un singolo neurone può averne decine di migliaia. I neurone è più lento del transistor, ma è andato molto oltre nella direzione della miniaturizzazione, una tendenza che ha dominato l’industria elettronica negli ultimi vent’anni. Il tutto funziona poiché ci sono decine di migliaia di neuroni nel cervello umano, mentre entrerebbero soltanto poche centinaia di transistor in quello stesso spazio.

Le piante non hanno bisogno del neurone, perché riescono a vivere senza muoversi, ma il neurone si trova nella stragrande maggioranza dei gruppi animali. Potrebbe essere stato “scoperto” presto nel corso dell’evoluzione animale, ed ereditato da tutti i gruppi, oppure potrebbe essere stato ri-scoperto indipendentemente varie volte.

I neuroni sono fondamentalmente semplici cellule, con un nucleo e un cromosoma come le altre cellule. Ma le loro pareti cellulari si protendono assumendo una forma lunga e sottile, simile a un cavo di comunicazione. Spesso un neurone ha un “cavo” particolarmente lungo chiamato assone. Sebbene la larghezza di un assone sia microscopica, la sua lunghezza può essere di molti piedi: ci sono singoli assoni che percorrono l’intera lunghezza di un collo di giraffa. Gli assoni sono generalmente raggruppati assieme formando spessi cavi chiamati nervi. Questi si estendono da una parte all’altra di un corpo trasmettendo messaggi, più o meno come il cavo di una cornetta telefonica. Altri neuroni hanno assoni corti, e sono confinati a dense concentrazioni di tessuto nervoso chiamate gangli, o, quando sono molto grandi, cervelli. I cervelli si possono considerare come analoghi ai computer. Queste due macchine sono analoghe nel senso che entrambe generano complesse strutture di segnali in uscita, dopo aver fatto un’analisi di complesse strutture in ingresso, e dopo aver preso in considerazione l’informazione immagazzinata al loro interno. Il modo principale in cui i cervelli contribuiscono al successo delle macchine di sopravvivenza è controllando e coordinando le contrazioni dei muscoli. Per fare questo hanno bisogno di cavi che arrivino fino ai muscoli, e questi cavi si chiamano nervi motori. Ma questo conduce ad una efficiente preservazione di geni soltanto se la temporizzazione delle contrazioni dei muscoli ha qualche relazione con la temporizzazione degli eventi nel mondo esterno. E’ importante contrarre i muscoli della mascella solo quando la mascella contiene qualcosa che vale la pena di mordere, e contrarre i muscoli delle gambe in sequenze che producono la corsa soltanto quando c’è qualcosa verso cui valga la pena di correre o da cui valga la pena fuggire. Per questa ragione, la selezione naturale ha favorito quegli animali che venivano equipaggiati di organi sensoriali, dispositivi che traducono sequenze di eventi fisici presenti nel mondo esterno nel codice a impulsi dei neuroni. Il cervello è connesso agli organi sensoriali — occhi, orecchie, papille gustative, eccetera — mediante cavi chiamati nervi sensori. Il funzionamento del sistema sensorio è particolarmente stupefacente, perché esso può raggiungere risultati di riconoscimento di segnali molto più sofisticati delle più costose macchine create dall’uomo; se così non fosse, tutti i dattilografi sarebbero inutili, rimpiazzati da macchine di riconoscimento vocale, o da macchine per leggere la grafia manuale. I dattilografi umani saranno necessari ancora per molti decenni. [E’ ironico che io oggi stia dettando questo post a un programma di riconoscimento vocale, Dragon NaturallySpeaking, NdM.]

Potrebbe esserci stato un tempo in cui gli organi di senso comunicavano più o meno direttamente con i muscoli; in verità, gli anemoni marini oggi non sono lontani da questo stato, in quanto è un sistema efficiente per il loro modo di vivere. Ma per ottenere una relazione più complessa e più indiretta tra la temporizzazione degli eventi nel mondo esterno e la temporizzazione delle contrazioni muscolari, era necessario qualche tipo di cervello come intermediario. Un progresso notevole fu l’ “invenzione” evolutiva della memoria. Mediante questa tecnologia, la temporizzazione delle contrazioni muscolari poté essere influenzata non solo dagli eventi nel passato immediato, ma anche dagli eventi nel passato lontano. La memoria, o deposito di informazioni, è una parte essenziale anche dei computer digitali. Le memorie per computer sono più affidabili delle memorie umane, ma sono meno capienti, e molto meno sofisticate nelle loro tecniche di reperimento dell’informazione.

Una delle proprietà più sorprendenti del comportamento delle macchine di sopravvivenza è che apparentemente sembrano dotate di scopo. Non intendo solo dire che il comportamento animale sembra ben congegnato per aiutare i geni dell’animale a sopravvivere, sebbene naturalmente sia così. Sto parlando di un’analogia più diretta con il comportamento umano intenzionale, basato su scopi. Quando osserviamo un animale che “cerca” del cibo, o un partner, o un figlio che si è smarrito, non possiamo non imputare tutto questo a qualche sentimento soggettivo che noi stessi sperimentiamo quando cerchiamo. Questi sentimenti soggettivi possono includere “il desiderio” di un qualche oggetto, una “rappresentazione mentale” dell’oggetto desiderato, uno “scopo” o una “rappresentazione del futuro”. Ognuno di noi sa, dall’evidenza della propria introspezione, che, almeno in una delle moderne macchine di sopravvivenza, si è evoluta la proprietà che chiamiamo “coscienza”. Non sono abbastanza filosofo da discutere cosa questo significhi, ma fortunatamente non importa per i nostri scopi presenti, perché possiamo facilmente parlare di macchine che si comportano come se fossero motivate da uno scopo, e lasciare aperta la domanda se esse siano davvero coscienti. Queste macchine sono fondamentalmente molto semplici, e il comportamento inconscio basato su scopi apparenti è qualcosa di molto comune nella scienza dell’ingegneria. L’esempio classico è il regolatore del vapore di Watt.

Il principio fondamentale impiegato in questo dispositivo è chiamato “feedback negativo”, di cui esistono varie forme diverse. In generale ciò che succede è questo. La “macchina dotata di scopo apparente”, cioè la macchina o la cosa che si comporta come se avesse uno scopo conscio, è equipaggiata con qualche tipo di dispositivo di misurazione che misura la discrepanza tra lo stato attuale delle cose e lo stato “desiderato”. È costruita in modo tale che più grande è questa discrepanza, più la macchina si attiva con vigore. In questo modo la macchina tenderà automaticamente a ridurre la discrepanza — ecco perché si chiama feedback negativo — e potrebbe anche mettersi completamente a riposo se raggiungesse lo stato “desiderato”. Il regolatore Watt consiste di una coppia di sfere che vengono fatte muovere in cerchio da un motore a vapore. Ogni sfera si trova ad un’estremità di un braccio snodato. Quanto più velocemente le sfere volano in circolo, tanto più la forza centrifuga spinge i bracci verso la posizione orizzontale, e questa tendenza viene contrastata dalla gravità. Le braccia sono connesse alla valvola del vapore che alimenta il motore, in modo tale che il getto di vapore tende ad essere interrotto quando le braccia si avvicinano alla posizione orizzontale. Così, se il motore va troppo veloce, una parte del suo vapore sarà interrotta, e tenderà a rallentare. Se rallenta troppo, automaticamente più vapore sarà iniettato nella valvola, e accelererà di nuovo. Queste macchine dotate di scopo apparente sono solite oscillare, a causa di dosaggio eccessivo e di ritardi nella trasmissione della temporizzazione, ed è compito di un bravo ingegnere costruire dispositivi supplementari per ridurre le oscillazioni.

Lo stato “desiderato” dal regolatore di vapore Watt è una particolare velocità di rotazione. Naturalmente non lo desidera consciamente. L’ “obiettivo” di una macchina è definito semplicemente come lo stato in cui la macchina tende a ritornare. Le moderne macchine dotate di scopo apparente usano un’estensione di principi di base come i feedback negativo per ottenere un comportamento molto più complesso simile agli esseri viventi. I missili teleguidati, per esempio, sembrano ricercare attivamente il loro bersaglio, e quando lo hanno localizzato sembrano perseguirlo, tenendo conto dei suoi movimenti evasivi, e a volte persino predicendoli o anticipandoli. Non vale la pena di entrare nei dettagli di come questo avvenga: hanno a che fare con un feedback negativo di molti tipi, il “feed-forward”, ed altri principi ben noti agli ingegneri, e che oggi sappiamo essere impiegati abbondantemente nel funzionamento dei corpi viventi. Non c’è bisogno di postulare niente di lontanamente simile alla coscienza, sebbene una persona comune, osservando il comportamento apparentemente intenzionale e dotato di scopi di un missile, trova difficile credere che il missile non sia sotto il controllo diretto di un pilota umano.

(continua)

I commenti sono chiusi.