Richard Dawkins: Perché esiste la morte?

Questo è l’ottavo post di una serie dedicata alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale, e specialmente al libro di Richard Dawkins “Il Gene Egoista”, del 1976.

Prima di leggere questo episodio, assicuratevi di aver letto almeno la seconda metà dell’episodio precedente, in particolare l’analogia tra geni e rematori, e il successivo esempio sui denti degli erbivori e dei carnivori. (Il succo era che un gene di successo, per essere selezionato, deve essere bravo a cooperare con gli altri geni).

La teoria esposta da Dawkins in questo episodio spiega come un gene “letale”, che provoca la morte in vecchiaia, possa tuttavia avere successo e diffondersi nel pool genetico per il semplice fatto che si attiva tardi, quando l’individuo si è già riprodotto. Nel seguito dell’episodio, Dawkins espone due interessanti modi di prolungare la vita umana!

3. Spirali immortali (seguito)

Questa è un’idea sottile e complicata. È complicata perché “l’ambiente” di un gene consiste in gran parte di altri geni, ciascuno dei quali è a sua volta selezionato per la sua capacità di cooperare con i geni che lo circondano. Esiste in effetti un’analogia adeguata a spiegare questo punto sottile, ma non deriva dall’esperienza di tutti i giorni: è l’analogia con la “teoria dei giochi”, che sarà discussa nel capitolo 5 quando si parlerà delle situazioni di aggressione fra singoli animali. Rimando quindi ogni ulteriore discussione di questo punto alla fine di quel capitolo e ritorno al messaggio centrale di questo, cioè che è meglio identificare l’unità base della selezione naturale non con la specie né con la popolazione né con l’individuo, ma con una piccola unità di materiale genetico che è conveniente etichettare come il gene.

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Perché non viviamo per sempre?

La questione del perché moriamo di vecchiaia è complessa e i dettagli esulano dagli scopi di questo libro. Oltre a ragioni particolari ne sono state proposte alcune più generali. Per esempio, una teoria è che la senilità rappresenti un accumulo di errori di copiatura deleteri e di altri danni genetici che avvengono nel corso della vita dell’individuo. Un’altra teoria, dovuta a Sir Peter Medawar, è un buon esempio di pensiero evoluzionistico in termini della selezione del gene. Medawar per prima cosa rigetta argomenti tradizionali come “i vecchi muoiono per un atto di altruismo verso il resto della specie, perché se restassero in vita quando sono troppo decrepiti per riprodursi affollerebbero il mondo senza scopo”. Come fa notare Medawar, questo è un argomento circolare, che dà per scontato quello che vuole provare, cioè che gli animali vecchi sono troppo decrepiti per riprodursi. È anche un modo ingenuo di esporre la selezione di gruppo o di specie, sebbene quella parte possa essere riformulata in termini più corretti. La teoria di Medawar ha invece una logica stringente che possiamo ricostruire nel modo seguente.

Ci siamo già chiesti quali siano gli attributi più generali di un gene “di successo” e abbiamo concluso che uno di essi è “l’egoismo”; ma un’altra qualità generale che un gene vincente deve avere è la tendenza a rimandare la morte della sua macchina di sopravvivenza almeno fino a dopo la riproduzione. Senza dubbio qualcuno dei nostri cugini o prozii è morto nell’infanzia, ma certamente nessuno dei nostri antenati. Gli antenati non muoiono mai giovani!

Un gene che fa morire il suo possessore è chiamato gene letale. Un gene semi-letale ha alcuni effetti debilitanti che rendono più probabile la morte per altre cause. Ogni gene esercita il suo effetto massimo sul corpo a uno stadio particolare della vita e i geni letali e semi-letali non fanno eccezione. La maggior parte dei geni esercitano la loro influenza durante la vita fetale, altri durante l’infanzia, l’adolescenza, la mezza età o la vecchiaia (considerate che un bruco e la farfalla in cui si trasforma hanno esattamente lo stesso patrimonio genetico). Ovviamente i geni letali tenderanno ad essere rimossi dal pool genetico, ma altrettanto ovviamente un gene letale che agisca in tarda età sarà più stabile nel pool genetico di un gene letale che agisca precocemente. Un gene che è letale in un corpo vecchio può ancora avere successo nel pool genetico, purché il suo effetto letale non si manifesti se non dopo che il corpo ha avuto il tempo di riprodursi. Per esempio, un gene che fa sviluppare il cancro in un corpo vecchio potrebbe essere trasmesso a numerosi discendenti perché gli individui si riprodurrebbero prima di sviluppare il cancro. D’altra parte, un gene che fa sviluppare il cancro in un corpo giovane non si trasmetterà a molti discendenti, e un gene che fa sviluppare il cancro nell’infanzia non si trasmetterà affatto. Allora, secondo questa teoria, il decadimento senile è semplicemente un sottoprodotto dell’accumulo nel pool genetico di geni letali e semi-letali tardivi, che hanno potuto scivolare fra le maglie della rete della selezione naturale semplicemente perché sono tardivi.

[Come altro esempio, immaginate un gene cancerogeno che si attivi solo quando l’individuo diviene sterile, cioè quando nel corpo sono presenti sostanze che indicano la sterilità. Questo gene potrà ancora avere successo e diffondersi nel pool genetico, perché in genere si attiverà solo dopo che quell’individuo si è riprodotto; ma una persona che per qualche motivo divenga sterile in gioventù potrebbe contrarre il cancro in gioventù, NdM.]

L’aspetto che lo stesso Medawar sottolinea è che la selezione favorisce i geni che hanno l’effetto di rimandare l’operazione di altri, i geni letali, nonché quei geni che accelerano l’effetto dei geni buoni. Potrebbe darsi che buona parte dell’evoluzione consista in cambiamenti, controllati geneticamente, del momento di inizio dell’attività dei geni.

È importante notare che questa teoria non ha bisogno di ipotizzare una precisa età di inizio dell’attività riproduttiva. Partendo dal presupposto che tutti gli individui hanno la stessa probabilità di avere figli a qualunque età, la teoria di Medawar predice l’accumulo nel pool genetico di geni deleteri e semi-deleteri tardivi, e la tendenza a riprodursi meno nella vecchiaia ne è una conseguenza secondaria.

Come corollario, un lato positivo di questa teoria è che ci porta ad alcune speculazioni interessanti. Per esempio ne consegue che, se vogliamo aumentare la durata della vita umana, esistono due possibilità di farlo. Per prima cosa potremmo vietare la riproduzione prima di una certa età, diciamo 40 anni; dopo qualche secolo il limite minimo di età verrebbe elevato a 50, e così via. È concepibile che con questo sistema la longevità umana possa essere portata a parecchi secoli. Non riesco però a immaginare nessuno che prenderebbe seriamente in considerazione la sua attuazione.

Oppure potremmo tentare di “ingannare” i geni facendo credere loro che il corpo in cui si trovano sia più giovane di quello che è in realtà. In pratica ciò vorrebbe dire identificare nell’ambiente chimico interno di un corpo i cambiamenti che avvengono durante l’invecchiamento. Ciascuno di essi potrebbe essere il segnale che “accende” geni letali tardivi. Simulando le proprietà chimiche superficiali di un corpo giovane potremmo impedire l’attivazione di geni deleteri tardivi. Il punto interessante è che i segnali chimici della vecchiaia non sono di per sé necessariamente deleteri. Per esempio, supponiamo che una sostanza “S” sia più concentrata nei corpi degli anziani. S di per sé potrebbe essere assolutamente innocua, forse una sostanza che si trova nel cibo e che si accumula nel corso degli anni; però qualunque gene che eserciti un effetto deleterio in presenza di S, ma che altrimenti avrebbe un effetto buono, verrebbe automaticamente selezionato nel pool genetico e sarebbe in effetti un gene “per” la morte di vecchiaia. La cura sarebbe allora semplicemente la rimozione di S dal corpo.

Ciò che è rivoluzionario in questa idea è che S di per sé è soltanto un “indice” di vecchiaia. Un medico, notando che alte concentrazioni di S tendono a portare alla morte, penserebbe probabilmente che S sia una specie di veleno e si spremerebbe il cervello per trovare un legame causale diretto fra S e il cattivo funzionamento del corpo. Ma nel nostro esempio ipotetico sarebbe soltanto una perdita di tempo.

Potrebbe anche esserci una sostanza Y, un “indice” di giovinezza nel senso che sarebbe più concentrata nei corpi giovani. Di nuovo, potrebbero essere selezionati geni che hanno un effetto positivo in presenza di Y ma che sono deleteri in sua assenza. Senza avere modo di sapere cosa sono S e Y — potrebbero esserci molte di queste sostanze — possiamo semplicemente fare la predizione generica che più riusciamo a simulare o a mimare le proprietà di un corpo giovane in uno vecchio, per quanto superficiali queste proprietà possano sembrare, più aumentiamo la lunghezza della vita del corpo vecchio.

Devo sottolineare che si tratta soltanto di speculazioni basate sulla teoria di Medawar. Sebbene la teoria di Medawar contenga logicamente un po’ di verità, questo non significa necessariamente che sia la spiegazione giusta per ogni esempio pratico di decadimento senile. Ciò che importa per gli scopi presenti è che l’evoluzione, intesa come selezione del gene, non ha difficoltà a spiegare la tendenza degli individui a morire quando diventano vecchi.

[A partire dal prossimo episodio cominceremo il capitolo 4, ed entreremo nel vivo del libro, NdM]

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