Richard Dawkins:Perché esistiamo

 

Questo è il quinto post di una serie dedicata alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale, e specialmente al libro di Richard Dawkins “Il Gene Egoista”, del 1976.

Questo è uno degli episodi più importanti. Dawkins, alla fine di questo episodio, ci svela (in modo volutamente teatrale) il motivo per cui esistiamo. La scelta di Dawkins è di presentare questa rivelazione al culmine di un crescendo teatrale, e di relegare ai capitoli successivi l’evidenza a suo sostegno.

2. I replicatori [seguito]

Man mano che gli errori di copiatura avvenivano e si propagavano, il brodo primordiale si riempiva di una popolazione non di repliche identiche, ma di molte varietà di molecole replicanti, tutte “discendenti” dallo stesso antenato. Potrebbero alcune varietà essere state più numerose di altre? Quasi certamente sì. Alcune varietà dovevano essere intrinsecamente più stabili di altre. Certe molecole, una volta formate, avevano meno probabilità di altre di dividersi di nuovo. Questi tipi diventavano relativamente numerosi nel brodo, non solo come diretta conseguenza della loro “longevità”, ma anche perché avevano molto tempo per produrre copie di se stessi. I replicatori ad alta longevità tendevano quindi a diventare più numerosi e, a parità di altri fattori, ci fu nella popolazione di molecole una tendenza evolutiva verso una maggiore longevità.

Ma gli altri fattori probabilmente non erano uguali, e un’altra proprietà dei replicatori, che deve aver giocato un ruolo ancora più importante nel diffondere alcuni replicatori nella popolazione, fu la velocità di replicazione, o “fecondità”. Se le molecole replicatori di tipo A fanno copie di se stesse in media una volta alla settimana, mentre quelle di tipo B fanno copie di se stesse ogni ora, non è difficile capire che molto presto le molecole del tipo A saranno presto numericamente sovrastate, anche se “vivono” molto più a lungo delle molecole di tipo B. Ci sarebbe quindi probabilmente una “tendenza evolutiva” verso una “fecondità” più alta delle molecole nel brodo.

Una terza caratteristica dei replicatori che sarebbe stata sicuramente selezionata è l’accuratezza di replicazione. Se le molecole di tipo X e di tipo Y durano lo stesso tempo e si replicano alla stessa frequenza, ma X fa in media un errore ogni 10 replicazioni, mentre Y fa un errore ogni 100 replicazioni, Y diverrà ovviamente più numeroso. Il contingente X della popolazione perderà non solo quei “figli” che commettono errori “personalmente”, ma anche tutti i loro discendenti, veri o potenziali.

Se sapete già qualcosa dell’evoluzione, potreste trovare qualcosa di leggermente paradossale nell’ultimo punto. Possiamo riconciliare l’idea che gli errori di copiatura siano un prerequisito essenziale per l’evoluzione, con l’affermazione che la selezione naturale favorisce un’alta fedeltà di copiatura? La risposta è che sebbene l’evoluzione possa sembrare, in un certo senso, una “cosa buona”, specialmente poiché noi ne siamo il prodotto, niente “desidera” davvero evolversi. L’evoluzione è un effetto collaterale, qualcosa che succede nonostante gli sforzi dei replicatori (e oggigiorno dei geni) di impedire che succeda. Jacques Monod ha espresso questo fatto brillantemente nella sua conferenza su Herbert Spencer, dopo aver notato: “un altro aspetto curioso della teoria dell’evoluzione è che tutti pensano di capirla!”.

Per tornare al brodo primordiale, esso dovette divenire popolato di varietà stabili di molecole; stabili nel senso che le molecole duravano a lungo singolarmente, oppure si replicavano rapidamente, oppure si replicavano accuratamente. La tendenza evolutiva verso questi tre tipi di stabilità va intesa in questo senso: se tu avessi prelevato dei campioni dal brodo in due momenti diversi, il secondo campione avrebbe contenuto una frazione più alta di varietà dotate di alta longevità/fecondità/fedeltà di copiatura. Questo è essenzialmente ciò che i biologi intendono per evoluzione quando parlano di creature viventi, e il meccanismo è lo stesso — la selezione naturale.

Allora dovremmo chiamare “viventi” le originali molecole replicatori? Chi se ne importa? Io potrei dire a voi “Darwin fu l’uomo più grande mai vissuto” e voi potreste rispondere “No, fu Newton”, ma spero che questo diverbio non durerebbe a lungo. Il punto è che il modo in cui risolviamo il nostro diverbio non influenza la realtà delle cose. I fatti della vita e delle imprese di Newton e di Darwin rimangono totalmente immutati, non importa se li etichettiamo come “grandi” o meno. Similmente, la storia delle molecole replicanti avvenne probabilmente in modo simile a come la sto raccontando, non importa se decidiamo di chiamarli “viventi”. Troppa sofferenza umana è stata causata per l’incapacità di capire che le parole sono solo strumenti al nostro servizio, e che la semplice presenza nel dizionario di una parola come “vivo” non significa che si riferisca necessariamente a qualcosa di preciso nel mondo reale. Non importa se chiamiamo “vivi” i primi replicatori, essi furono gli antenati della vita; furono i nostri padri fondatori.

Il prossimo passaggio importante nell’argomento, passaggio che lo stesso Darwin enfatizzò molto (sebbene lui stesse parlando di animali e piante, non di molecole) è la competizione. Il brodo primordiale non era capace di dare sostentamento a un numero infinito di molecole replicanti. Tanto per cominciare, la terra ha dimensioni finite, ma anche altri fattori di limitazione devono aver giocato un ruolo importante. Nella nostra immagine dei replicatori che agiscono come stampini, abbiamo ipotizzato che essi fossero immersi in un brodo ricco di piccoli blocchi costitutivi molecolari necessari per produrre copie. Ma quando i replicatori divennero numerosi, i blocchi costitutivi dovevano venire usati a una frequenza tale da divenire una risorsa preziosa e scarsa. Le differenti varietà, o linee, di replicatori devono essere stati in competizione per queste risorse. Finora abbiamo considerato i fattori che potevano aumentare il numero di tipi favoriti di replicatori. Ora possiamo vedere che alcuni tipi meno favoriti devono essere diventati meno numerosi a causa della competizione, e alla fine molte delle loro varietà devono essersi estinte. Ci fu una lotta per l’esistenza tra le varietà di replicatori. Non sapevano che stavano combattendo, né se ne preoccupavano; la lotta si conduceva senza alcun sentimento di rancore, anzi senza sentimenti di alcun tipo. Ma stavano combattendo, nel senso che qualunque errore di copiatura che producesse un livello più alto di stabilità, o un nuovo modo di ridurre la stabilità dei rivali, veniva automaticamente preservato e moltiplicato. Il processo di miglioramento era cumulativo. I modi di aumentare la stabilità e di diminunire la stabilità dei “rivali” divennero sempre più elaborati ed efficienti. Alcuni replicatori potrebbero persino avere “scoperto” come distruggere chimicamente le molecole delle varietà rivali, e utilizzare i blocchi costitutivi così rilasciati per produrre le loro proprie copie. Questi proto-carnivori ottenevano cibo e allo stesso tempo eliminavano i rivali. Altri replicatori forse scoprirono come proteggersi, o chimicamente, o costruendo un muro fisico di proteine attorno a sé. Potrebbe essere stato così che apparvero le prime cellule viventi. I replicatori cominciarono non soltanto ad esistere e basta, ma a costruire per sé stessi dei contenitori, dei veicoli per assicurare la loro esistenza continuata. I replicatori che riuscivano a sopravvivere erano quelli che costruivano delle macchine di sopravvivenza per abitarci dentro. Le prime macchine di sopravvivenza non erano probabilmente niente più che strati protettivi. Ma sopravvivere diventava sempre più difficile, man mano che i rivali producevano macchine di sopravvivenza migliori e più efficaci. Le macchine di sopravvivenza divennero sempre più grandi e più elaborate, ed il processo era cumulativo e progressivo.

Questo miglioramento graduale, nelle tecniche e negli artifici usati dai replicatori per assicurare la loro stessa sopravvivenza nel mondo, era forse destinato ad avere fine? Avevano molto tempo a disposizione per migliorare. Quali strani meccanismi di auto-preservazione sono stati prodotti nei millenni? Quattromila milioni di anni dopo, quale è stata la sorte degli antichi replicatori? Essi non sono morti, perché sono campioni assoluti nell’arte della sopravvivenza. Ma non cercateli ancora mentre galleggiano nel mare; da molto tempo hanno rinunciato a quel genere di libertà. Adesso vivono in enormi colonie, al sicuro all’interno di enormi robot torreggianti, completamente sigillati dalle insidie del mondo esterno, e comunicano con esso per vie tortuose ed indirette, manipolandolo con dei comandi a distanza. Si trovano dentro di voi e dentro di me; ci hanno creati, sia i nostri corpi sia le nostre menti; e la loro preservazione è il motivo ultimo della nostra esistenza. Hanno fatto una lunga strada, questi replicatori. Adesso hanno il nome di geni, e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza.

[Fine del capitolo 2]

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